• U.S. admits it hasn’t verified Israel’s UNRWA claims, media ignores it – Mondoweiss
    https://mondoweiss.net/2024/02/u-s-admits-it-hasnt-verified-israels-unrwa-claims-media-ignores-it

    Les USA eux-mêmes qu’ils n’ont pas été en mesure de vérifier les accusations israéliennes contre quelques employés de l’UNRWA.

    (Tout le reste de l’article est intéressant.)

    On January 26, Israeli allegations against a dozen UNRWA employees surfaced. The agency immediately fired nine of them and said that two others were dead, hoping their swift and pre-emptive action would stave off rash U.S. actions. Nonetheless, the United States and a host of other countries immediately suspended funding for UNRWA, over the actions of 12 of over 30,000 employees, 13,000 of whom are in Gaza.

    It’s worth pausing over that last fact for a moment. Twelve out of 13,000 Gaza employees have caused all of this, and it’s based on evidence that has not been made public. You’d never know that from much of the media coverage, which is, once again, treating Israeli allegations as proven facts. Nor could you tell by the U.S. response. Secretary of State Antony Blinken stated, “We haven’t had the ability to investigate [the allegations] ourselves. But they are highly, highly credible.”

    That is a stunning statement. They are simply taking Israel’s word for it, and on that basis, they are suspending aid to nearly two million people who need that aid more than anyone in the world.

    Recall that Israel, in October 2021, labeled six Palestinian organizations as being connected to “terrorist groups,” specifically referring to the Popular Front for the Liberation of Palestine (PFLP). The “evidence” Israel presented was so threadbare that European countries dismissed it as baseless, and even the Biden administration, which has repeatedly supported Israeli claims based on no evidence that turned out to be false, could not accept the Israeli charges, though it avoided explicitly calling out Israel’s attempted deception.

    Yet now, Israel has presented a “dossier” that contains its case against the twelve UNRWA workers. The actual evidence has not been made public, and even the United States, as noted above, has admitted it can’t verify the Israeli claims. But the U.S. suspended UNRWA’s funding anyway and led seventeen other countries to follow suit.

    • Les occidentaux tiennent à participer au génocide des Palestiniens : armer Israël, soutenir économiquement Israël, diaboliser les Palestiniens ("guerre Israël-Hamas", Hamas terroriste mais Israël jamais, même pas criminel), suspendre le financement de l’UMRWA, seul fil de vie aux habitants de Gaza décimés par les bombardements, les tirs de snipers, la faim et les épidémies.

      La barbarie raciste européenne est de retour et cette fois avec les Etats-Unis.

      Les occidentaux massacrent également les états de droit (les lobbys sionistes font presque partout la loi) et effacent la Justice internationale en ignorant la décision de la Cour Internationale de Justice.

    • #Respiro

      Conosco il respiro degli stormi in volo
      le geometrie superiori che disegnano in cielo
      il lavoro antico degli insetti del suolo
      le lucertole immobili sui muri

      Ho visto che i ricci sul fondo del mare
      si coprono di foglie e di piccoli sassi
      per ripararsi dal sole
      Ho spiato le aquile camminare insicure
      e poi lanciarsi nel vuoto dalle loro smisurate alture

      I gufi che scrutano la notte
      i cuccioli che succhiano avidi il loro latte

      E ho guardato negli occhi mansueti dei grandi bovini
      che riposano all’ombra se li lasciamo sereni
      so riconoscere i pesci che nuotano attenti e delicati
      se non li andiamo a disturbare
      I serpenti silenziosi tra le pietre
      le volpi ed i lupi, gli orsi e le api

      E osservo i nidi delle rondini sotto ai tetti, e i piccioni che
      girano cercando da mangiare
      ma noi li scalciamo e li disprezziamo
      e i nostri figli li spaventano e noi ridiamo
      come fosse tutto normale

      E so di trenta miliardi di anime
      che facciamo nascere per poterle ammazzare

      #animaux #unòrsominòre

    • #O_tempora
      https://www.youtube.com/watch?v=N-d6ryUG7sI&t=90s

      I nobili restaurano privilegi ancien regime
      Disparità in progressione esponenziale
      E tu mi chiedi ancora
      che male c’è a guardare la partita
      Ma davvero non l’hai ancora capito?
      Comunque, ricorda,
      che io le spiegazioni le ho già date
      io le mie canzoni migliori
      le ho già scritte e cantate.

      Perché a cantare non convinci mai nessuno
      se non chi è convinto di già
      ehi, voi comunisti
      fino a quando non ci avete il conto in banca,
      atei fino a quando non vi viene un brutto male
      o vi sposate nella cattedrale.
      Alternativi fino a quando non vi fanno
      l’intervistina su Vanity Fair
      fare i punk su Vanity Fair
      e X-Factor

      E voi che avete un senso critico da scuola elementare
      Per voi tutte le cose hanno il medesimo valore
      Nanni Moretti, Lo Stato Sociale, i Joy Division,
      Colapesce, ... Pasolini Godard,
      Wes Anderson, The .., la Carrà
      Un post su Facebook, una foto su Instagram
      Sorrido sempre, ciao, e viva la mia città

      E voi, post moderni per forza,
      senza stile né cultura
      Voi che elargite l’aggettivo geniale
      ad ogni cazzatina appena carina

      O voi che ritenete ancora
      che onore sia una bella parola
      Voi che mandate sempre in vacca
      qualsiasi discussione
      perché non sapete ragionare
      figuriamoci parlare
      malati cronici di dissociazione cognitiva.
      Non rinunciate mai a niente,
      se non per interesse o per paura.

      E voi che vi piace immaginarvi progressisti,
      ma certo con il giusto limite in tutte le cose,
      sennò poi tocca fare lo sforzino,
      quindi meglio inventarsi ancora scuse.

      Ad esempio per continuare
      a riempire il mondo di merda
      e massacrare animali,
      piuttosto che provare a cambiare l’un per cento
      delle vostre inutili abitudini sociali.

      E voi puntate il dito
      quando viene facile,
      ma come siete lesti
      a difendere le vostre porcherie
      non appena si parla di voi,
      non appena riguarda anche voi.

      E le feste della birra artigianale,
      la birra e la salsiccia come discorso culturale
      e l’importante è fare
      non importa cosa o come

      E ridete, bevete, e scattate, postate
      e volete ballare, ballare, ballare
      voi volete ballare, ballare, ballare, ballare
      e voi volete ballare, volete ballate, ballare, ballare,
      ballare e farvi fotografare
      col bicchiere di plastica in mano
      tutti sorridenti ed abbracciati
      in un qualsiasi locale sempre uguale.

      E voi vi meritate la musica banale di questi anni
      e tutti questi piccoli cantanti senza idee
      queste canzoni che ascoltate
      e subito dimenticate perché poi sono noiose come voi
      in questi anni senza slanci e senza eroi.

      Ma Vasco, vecchio e stanco, che canta metallaro
      non è forse più vero di tutti i pivellini
      sulle collinette dell’idroscalo.

      E poi ci siete voi che chiedete di pregare
      per i morti delle bombe
      esplose per il vostro Dio cristiano,
      o per Allah
      Voi che conoscete solo il vostro pianerottolo
      E blaterate di confini, cultura e identità

      E voi che pensate che la soluzione
      sia non guardare mai
      E siete convinti che se state male
      è colpa di chi sta peggio di voi.

      Ma voi non studiate, non leggete,
      non approfondite,
      ma fate analisi da sociologi, da economisti,
      da politologi, da scienziati
      e se vi viene un pensiero
      credete sia gagliardo
      perché non aprite mai un libro
      e arrivate con un leggerissimo ritardo
      ma prima che veniste al mondo
      era già stato analizzato,
      ribadito e confutato
      tipo un miliardo di volte

      E voi vi meritate la simpatia
      come metro di giudizio
      che poi è così che piace a voi.
      Vi meritate tutte le leggi peggiori
      di questo orrendo decadenza fine impero
      che non vuol finire mai

      Vi siete meritati Moro, Forlani,
      Andreotti, De Michelis, Craxi,
      Berlusconi, Brunetta, Schifani, Castelli, la Mussolini,
      Renzi, Salvini, la Boldrini, la Maria, la Boschi la Lorenzin

      Vi meritate questi giornalisti infami
      che naturalmente sono proprio uguali a voi
      approssimativi, distratti, ignoranti, e faziosi
      e pericolosi

      Voi che ancora scoppiate petardi
      perché siete bulletti e cafoni
      e perché vi piace il botto
      e vi fa sentire maschi
      e poi lo insegnate ai vostri figli
      poveri cristi

      Come era nel giusto Giorgio
      quando cantava scuro
      che è la lontananza
      l’unica vendetta
      l’unico perdono

      Vi lascio questo mondo
      fatene quel che vi pare,
      fino a quando non sarà lui
      a stancarsi
      di sopportare.

      E se non l’hai capito
      sto parlando di te
      Se non l’hai capito
      sto parlando di te
      sto parlando di te
      sto parlando di te
      sto parlando di te

      https://www.youtube.com/watch?v=N-d6ryUG7sI&t=90s

      #unòrsominòre #musique #chanson #musique_et_politique

  • Le #Mali, le #Burkina_Faso et le Niger quittent la #Cedeao, la région ébranlée

    Les trois régimes issus de coups d’Etat prennent le risque de compromettre la #libre_circulation des biens et des personnes, et repoussent le retour des civils au pouvoir.

    En décidant de se retirer de la #Communauté_économique_des_Etats_d’Afrique_de_l’Ouest (Cedeao), les régimes militaires du Mali, du Burkina Faso et du Niger issus de coups d’Etat prennent le risque de compromettre la libre circulation et repoussent le retour des civils au pouvoir. La Cedeao, organisation économique régionale de quinze pays, s’est opposée aux coups d’Etat ayant successivement porté au pouvoir les militaires au Mali, au Burkina Faso et au Niger, imposant de lourdes sanctions économiques au Niger et au Mali.

    En août 2023, elle est allée jusqu’à menacer d’intervenir militairement au Niger pour y rétablir l’ordre constitutionnel et libérer le président Mohamed Bazoum renversé. Le dialogue est pratiquement rompu entre l’organisation et les régimes de Bamako, Ouagadougou et Niamey, qui ont créé l’Alliance des Etats du Sahel (AES) et accusent leurs voisins d’agir sous l’influence de « puissances étrangères », en premier lieu la France, ancienne puissance coloniale dans la région.

    Des élections étaient en théorie prévues au Mali et au Burkina Faso en 2024, censées assurer le retour à un gouvernement civil, préalable exigé par la Cedeao pour lever ses sanctions et rétablir ces pays dans ses instances décisionnelles. Mais les partisans des régimes militaires souhaitent allonger la durée des transitions, invoquant la lutte antidjihadiste. Le nouvel homme fort du Niger, le général Abourahamane Tiani, n’a pas encore annoncé de calendrier de transition.

    « Les Etats de l’AES ont anticipé un débat qui devait venir, celui de la fin des transitions. La sortie de la Cedeao semble remettre au second plan cette question », estime Fahiraman Rodrigue Koné, spécialiste du Sahel à l’Institut des études de sécurité (ISS). « Bien installés dans les palais et devant les délices du pouvoir, ils [les dirigeants des pays de l’AES] veulent s’éterniser dans les fauteuils présidentiels », fustige Le Patriote, quotidien du parti au pouvoir en Côte d’Ivoire.

    L’inquiétude des ressortissants des trois pays

    La Cedeao garantit aux citoyens des pays membres de pouvoir voyager sans visa et de s’établir dans les pays membres pour y travailler ou y résider. L’annonce du retrait burkinabé, nigérien et malien, suscite donc l’inquiétude de centaines de milliers de ressortissants de ces pays, particuliers ou commerçants.

    Les trois pays enclavés du Sahel et leurs principaux partenaires économiques côtiers comme le Sénégal et la Côte d’Ivoire sont toutefois membres de l’#Union_économique_et_monétaire_ouest-africaine (#Uemoa, huit pays), qui garantit elle aussi en principe la « liberté de circulation et de résidence » pour les ressortissants ouest-africains, ainsi que le dédouanement de certains produits et l’harmonisation des tarifs et des normes, à l’instar de la Cedeao.

    Les conséquences d’un #retrait pourraient être plus marquées aux frontières du Niger et du Nigeria, pays n’appartenant pas à l’Uemoa. Le géant économique d’Afrique de l’Ouest représente plus de la moitié du PIB de la Cedeao et est le premier partenaire économique du Niger dans la région. Les 1 500 kilomètres de frontière qui séparent les deux Etats sont toutefois mal contrôlés et en proie aux attaques des groupes armés. Une part importante des flux échappent aux contrôles douaniers.

    « Même si c’est par la contrebande, les biens et les personnes vont rentrer au Niger. Vous ne pouvez pas séparer Sokoto [nord du Nigeria] de Konni [Niger], c’est un même peuple », assure ainsi Chaïbou Tchiombiano, secrétaire général du Syndicat des commerçants, importateurs exportateurs et grossistes du Niger.

    « Juridiquement, un retrait sans délai n’est pas possible »

    Les régimes du Mali, du Burkina et du Niger ont annoncé leur retrait « sans délai », mais les textes de la Cedeao prévoient qu’une demande doit être déposée par écrit un an avant. La Cedeao a affirmé dimanche qu’elle n’avait pas encore reçu une telle notification. « Juridiquement, un retrait sans délai n’est pas possible. Ces Etats devront trouver une forme d’entente et des négociations iront dans le sens de trouver les moyens de faire ce retrait de manière progressive », estime Fahiraman Rodrigue Koné.

    Alors que les groupes djihadistes progressent au Sahel et jusqu’aux marges des Etats côtiers, « la région se fragmente, devient objet de concurrence géostratégique plus forte, et cela n’est pas une bonne nouvelle pour la stabilité », avertit le chercheur.

    Les vives critiques formulées par ces régimes et leurs partisans à l’encontre du franc CFA, la monnaie commune des pays membres de l’Uemoa, pourraient également conduire les pays de l’AES à quitter cette organisation, et à renoncer à la libre circulation des biens et des personnes en attendant l’émergence d’une #zone_de_libre-échange continentale africaine, encore à l’état de projet.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/01/29/le-mali-le-burkina-faso-et-le-niger-quittent-la-cedeao-la-region-ebranlee_62
    #fin

  • Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
    #eau #agriculture #finance #financiarisation #fonds_de_pension #private_equity #Public_sector_pension_investment_board (#Psp) #petits_fruits #myrtilles #Olmos #Pérou #Huancabamba #industrie_agro-alimentaire #avocats #exportation #amandes #ressources_hydriques #extractivisme #Hortifruit #Huelva #Espagne #fraises #Doñana #fruits_rouges #Maroc #Renewable_resources_group #Mexique #Emirats_arabes_unis (#EAU) #Al_Dahra #Egypte #Soudan #Roumanie #Louis_Dreyfus_Company #Guido_De_Nadai #Chypre #Mohamed_Elsarky #Kellog’s #Godiva_chocolatier #United_biscuits #Danone #Gil_Adotevi #Chili

  • Étudiantes en terrain miné

    Si les étudiantes sont 5 fois plus victimes de violences sexistes et sexuelles que la moyenne des femmes, l’université serait-elle un terrain miné ?
    Charlotte Espel donne la parole à 5 étudiantes ou doctorantes, victimes de #harcèlement ou de #viol, qui se battent pour que les violences ne soient plus passées sous silence.

    Les #chiffres sont édifiants. Selon l’Observatoire des violences sexuelles et sexistes dans l’enseignement supérieur, en France, 1 étudiante sur 10 aurait été victime d’#agression_sexuelle lors de ses #études. 1 étudiante sur 20 de viol. 60% des étudiant(e)s ont été victimes ou témoins d’au moins une violence sexiste ou sexuelle. 45% des étudiant(e)s n’ont accès à aucun dispositif de lutte contre les violences ou d’accompagnement au sein de leur établissement.

    Après le scandale « #Sciences_Porcs » début 2021 et les récentes enquêtes ayant dénoncé l’ampleur des viols et agressions sexuelles à Centrale Supelec ou en écoles de commerce, de plus en plus d’étudiant(e)s dénoncent des cas de harcèlement ou d’agressions sexuelles.

    Quelles conséquences sur la psyché humaine ? Comment se reconstruire ? Quelle réponse des pouvoirs publics dans la prévention et le traitement de ces violences ?

    A travers des témoignages poignants, le #documentaire de Charlotte Espel met en lumière ce #drame_sociétal méconnu et le travail de ces associations qui tentent de briser l’#omerta.

    https://www.france.tv/france-3/paris-ile-de-france/la-france-en-vrai-paris-ile-de-france/5678475-etudiantes-en-terrain-mine.html

    #VSS #violences_sexistes #violences_sexuelles #étudiants #étudiantes #université #facs #témoignage #vidéo #documentaire #film_documentaire #ESR

    ping @_kg_

  • Conflit israélo-palestinien : le #CCOJB déplore la décision de la #Belgique de maintenir son financement de l’#Unrwa
    https://www.sudinfo.be/id785350/article/2024-01-31/conflit-israelo-palestinien-le-ccojb-deplore-la-decision-de-la-belgique-de

    Le Comité de coordination des organisations juives de Belgique (CCOJB) déplore ce mercredi la décision du gouvernement fédéral de maintenir son financement de l’agence des Nations unies pour les réfugiés palestiniens (Unrwa).

  • Netanyahu says Unrwa’s mission must be ’terminated’
    31 January 2024 18:52 GMT| Middle East Eye
    https://www.middleeasteye.net/live-blog/live-blog-update/netanyahu-says-unrwas-mission-must-be-terminated

    After alleging that several Unrwa staff members were involved in the 7 October attack, causing countries including the US to suspend funding to the group, Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu is now calling for the aid agency’s mission to be eliminated.

    The call comes in contradiction with Israel’s close ally, the US, which has said that the agency’s mission to provide aid to Palestinians is vital.

    “It’s time for the international community and the UN itself to understand that Unrwa’s mission must be terminated,” Netanyahu said to visiting UN delegates, according to a statement from his office.

    “It seeks to preserve the issue of Palestinian refugees. We must replace Unrwa with other UN agencies and other aid agencies, if we want to solve the Gaza problem as we plan to do.”

    #UNRWA

    • Così l’Italia ha svuotato il diritto alla trasparenza sulle frontiere

      Il Consiglio di Stato ha ribadito la inaccessibilità “assoluta” degli atti che riguardano genericamente la “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Intanto le forniture milionarie del governo a Libia, Tunisia ed Egitto continuano.

      https://seenthis.net/messages/1039671

  • #Francesca_Albanese, UN Special Rapporteur oPt sur X :
    https://twitter.com/FranceskAlbs/status/1752523189102530861

    Western governments have suspended #UNRWA funds due to serious ALLEGATIONS agst 12 staff.

    Same governments have not suspended ties with the state whose army has killed 26k ppl in Gaza in 3.5m,though ICJ said it may plausibly constitute #GENOCIDE.

    Double standards? Yes, big time.

    #communauté_internationale
    #nos_valeurs

  • Un eurodéputé sur quatre a déjà été mêlé à une affaire délictueuse La Libre

    Une enquête internationale sur l’intégrité des députés européens a recensé 253 affaires au cours de ces dernières années auxquelles ont été mêlés 163 députés.

    Pas moins de 163 des 704 députés de l’actuel Parlement européen ont déjà été impliqués dans divers scandales, allant du harcèlement sur le lieu de travail à la fraude, en passant par le népotisme et la corruption. C’est ce qui ressort d’une enquête internationale sur l’intégrité des députés européens menée par L’Echo, De Tijd et des médias de 22 États membres de l’UE et publiée mercredi.

    Cette enquête a recensé 253 affaires au cours de ces dernières années auxquelles ont été mêlés ces 163 députés. . . . . . .

    Source : https://www.lalibre.be/international/europe/2024/01/31/un-eurodepute-sur-quatre-a-deja-ete-mele-a-une-affaire-delictueuse-5SVLCQ7CB

    #ue #union_européenne #corruption #népotisme #pots-de-vin #harcèlement #harcèlement-sexuel #fraudes #statistiques

  • Conflitto di interessi, corruzione, abuso di potere: gli scandali del parlamento europeo”
    https://irpimedia.irpi.eu/parlamento-europe-conflitto-interessi-corruzione-abuso-di-potere

    Un’inchiesta coordinata da Follow The Money, con IrpiMedia e numerosi media partner, rivela l’estensione degli scandali che coinvolgono centinaia di parlamentari europei L’articolo Conflitto di interessi, corruzione, abuso di potere: gli scandali del parlamento europeo” proviene da IrpiMedia.

    #Undefined

  • L’#Europe et la fabrique de l’étranger

    Les discours sur l’ « #européanité » illustrent la prégnance d’une conception identitaire de la construction de l’Union, de ses #frontières, et de ceux qu’elle entend assimiler ou, au contraire, exclure au nom de la protection de ses #valeurs particulières.

    Longtemps absente de la vie démocratique de l’#Union_européenne (#UE), la question identitaire s’y est durablement installée depuis les années 2000. Si la volonté d’affirmer officiellement ce que « nous, Européens » sommes authentiquement n’est pas nouvelle, elle concernait jusqu’alors surtout – à l’instar de la Déclaration sur l’identité européenne de 1973 – les relations extérieures et la place de la « Communauté européenne » au sein du système international. À présent, elle renvoie à une quête d’« Européanité » (« Europeanness »), c’est-à-dire la recherche et la manifestation des #trait_identitaires (héritages, valeurs, mœurs, etc.) tenus, à tort ou à raison, pour caractéristiques de ce que signifie être « Européens ». Cette quête est largement tournée vers l’intérieur : elle concerne le rapport de « nous, Européens » à « nous-mêmes » ainsi que le rapport de « nous » aux « autres », ces étrangers et étrangères qui viennent et s’installent « chez nous ».

    C’est sous cet aspect identitaire qu’est le plus fréquemment et vivement discuté ce que l’on nomme la « #crise_des_réfugiés » et la « #crise_migratoire »

    L’enjeu qui ferait de l’#accueil des exilés et de l’#intégration des migrants une « #crise » concerne, en effet, l’attitude que les Européens devraient adopter à l’égard de celles et ceux qui leur sont « #étrangers » à double titre : en tant qu’individus ne disposant pas de la #citoyenneté de l’Union, mais également en tant que personnes vues comme les dépositaires d’une #altérité_identitaire les situant à l’extérieur du « #nous » – au moins à leur arrivée.

    D’un point de vue politique, le traitement que l’Union européenne réserve aux étrangères et étrangers se donne à voir dans le vaste ensemble de #discours, #décisions et #dispositifs régissant l’#accès_au_territoire, l’accueil et le #séjour de ces derniers, en particulier les accords communautaires et agences européennes dévolus à « une gestion efficace des flux migratoires » ainsi que les #politiques_publiques en matière d’immigration, d’intégration et de #naturalisation qui restent du ressort de ses États membres.

    Fortement guidées par des considérations identitaires dont la logique est de différencier entre « nous » et « eux », de telles politiques soulèvent une interrogation sur leurs dynamiques d’exclusion des « #autres » ; cependant, elles sont aussi à examiner au regard de l’#homogénéisation induite, en retour, sur le « nous ». C’est ce double questionnement que je propose de mener ici.

    En quête d’« Européanité » : affirmer la frontière entre « nous » et « eux »

    La question de savoir s’il est souhaitable et nécessaire que les contours de l’UE en tant que #communauté_politique soient tracés suivant des #lignes_identitaires donne lieu à une opposition philosophique très tranchée entre les partisans d’une défense sans faille de « l’#identité_européenne » et ceux qui plaident, à l’inverse, pour une « #indéfinition » résolue de l’Europe. Loin d’être purement théorique, cette opposition se rejoue sur le plan politique, sous une forme tout aussi dichotomique, dans le débat sur le traitement des étrangers.

    Les enjeux pratiques soulevés par la volonté de définir et sécuriser « notre » commune « Européanité » ont été au cœur de la controverse publique qu’a suscitée, en septembre 2019, l’annonce faite par #Ursula_von_der_Leyen de la nomination d’un commissaire à la « #Protection_du_mode_de_vie_européen », mission requalifiée – face aux critiques – en « #Promotion_de_notre_mode_de_vie_européen ». Dans ce portefeuille, on trouve plusieurs finalités d’action publique dont l’association même n’a pas manqué de soulever de vives inquiétudes, en dépit de la requalification opérée : à l’affirmation publique d’un « #mode_de_vie » spécifiquement « nôtre », lui-même corrélé à la défense de « l’#État_de_droit », « de l’#égalité, de la #tolérance et de la #justice_sociale », se trouvent conjoints la gestion de « #frontières_solides », de l’asile et la migration ainsi que la #sécurité, le tout placé sous l’objectif explicite de « protéger nos citoyens et nos valeurs ».

    Politiquement, cette « priorité » pour la période 2019-2024 s’inscrit dans la droite ligne des appels déjà anciens à doter l’Union d’un « supplément d’âme
     » ou à lui « donner sa chair » pour qu’elle advienne enfin en tant que « #communauté_de_valeurs ». De tels appels à un surcroît de substance spirituelle et morale à l’appui d’un projet européen qui se devrait d’être à la fois « politique et culturel » visaient et visent encore à répondre à certains problèmes pendants de la construction européenne, depuis le déficit de #légitimité_démocratique de l’UE, si discuté lors de la séquence constitutionnelle de 2005, jusqu’au défaut de stabilité culminant dans la crainte d’une désintégration européenne, rendue tangible en 2020 par le Brexit.

    Précisément, c’est de la #crise_existentielle de l’Europe que s’autorisent les positions intellectuelles qui, poussant la quête d’« Européanité » bien au-delà des objectifs politiques évoqués ci-dessus, la déclinent dans un registre résolument civilisationnel et défensif. Le geste philosophique consiste, en l’espèce, à appliquer à l’UE une approche « communautarienne », c’est-à-dire à faire entièrement reposer l’UE, comme ensemble de règles, de normes et d’institutions juridiques et politiques, sur une « #communauté_morale » façonnée par des visions du bien et du monde spécifiques à un groupe culturel. Une fois complétée par une rhétorique de « l’#enracinement » desdites « #valeurs_européennes » dans un patrimoine historique (et religieux) particulier, la promotion de « notre mode de vie européen » peut dès lors être orientée vers l’éloge de ce qui « nous » singularise à l’égard d’« autres », de « ces mérites qui nous distinguent » et que nous devons être fiers d’avoir diffusés au monde entier.

    À travers l’affirmation de « notre » commune « Européanité », ce n’est pas seulement la reconnaissance de « l’#exception_européenne » qui est recherchée ; à suivre celles et ceux qui portent cette entreprise, le but n’est autre que la survie. Selon #Chantal_Delsol, « il en va de l’existence même de l’Europe qui, si elle n’ose pas s’identifier ni nommer ses caractères, finit par se diluer dans le rien. » Par cette #identification européenne, des frontières sont tracées. Superposant Europe historique et Europe politique, Alain Besançon les énonce ainsi : « l’Europe s’arrête là où elle s’arrêtait au XVIIe siècle, c’est-à-dire quand elle rencontre une autre civilisation, un régime d’une autre nature et une religion qui ne veut pas d’elle. »

    Cette façon de délimiter un « #nous_européen » est à l’exact opposé de la conception de la frontière présente chez les partisans d’une « indéfinition » et d’une « désappropriation » de l’Europe. De ce côté-ci de l’échiquier philosophique, l’enjeu est au contraire de penser « un au-delà de l’identité ou de l’identification de l’Europe », étant entendu que le seul « crédit » que l’on puisse « encore accorder » à l’Europe serait « celui de désigner un espace de circulation symbolique excédant l’ordre de l’identification subjective et, plus encore, celui de la #crispation_identitaire ». Au lieu de chercher à « circonscri[re] l’identité en traçant une frontière stricte entre “ce qui est européen” et “ce qui ne l’est pas, ne peut pas l’être ou ne doit pas l’être” », il s’agit, comme le propose #Marc_Crépon, de valoriser la « #composition » avec les « #altérités » internes et externes. Animé par cette « #multiplicité_d’Europes », le principe, thématisé par #Etienne_Balibar, d’une « Europe comme #Borderland », où les frontières se superposent et se déplacent sans cesse, est d’aller vers ce qui est au-delà d’elle-même, vers ce qui l’excède toujours.

    Tout autre est néanmoins la dynamique impulsée, depuis une vingtaine d’années, par les politiques européennes d’#asile et d’immigration.

    La gouvernance européenne des étrangers : l’intégration conditionnée par les « valeurs communes »

    La question du traitement public des étrangers connaît, sur le plan des politiques publiques mises en œuvre par les États membres de l’UE, une forme d’européanisation. Celle-ci est discutée dans les recherches en sciences sociales sous le nom de « #tournant_civique ». Le terme de « tournant » renvoie au fait qu’à partir des années 2000, plusieurs pays européens, dont certains étaient considérés comme observant jusque-là une approche plus ou moins multiculturaliste (tels que le Royaume-Uni ou les Pays-Bas), ont développé des politiques de plus en plus « robustes » en ce qui concerne la sélection des personnes autorisées à séjourner durablement sur leur territoire et à intégrer la communauté nationale, notamment par voie de naturalisation. Quant au qualificatif de « civique », il marque le fait que soient ajoutés aux #conditions_matérielles (ressources, logement, etc.) des critères de sélection des « désirables » – et, donc, de détection des « indésirables » – qui étendent les exigences relatives à une « #bonne_citoyenneté » aux conduites et valeurs personnelles. Moyennant son #intervention_morale, voire disciplinaire, l’État se borne à inculquer à l’étranger les traits de caractère propices à la réussite de son intégration, charge à lui de démontrer qu’il conforme ses convictions et comportements, y compris dans sa vie privée, aux « valeurs » de la société d’accueil. Cette approche, centrée sur un critère de #compatibilité_identitaire, fait peser la responsabilité de l’#inclusion (ou de l’#exclusion) sur les personnes étrangères, et non sur les institutions publiques : si elles échouent à leur assimilation « éthique » au terme de leur « #parcours_d’intégration », et a fortiori si elles s’y refusent, alors elles sont considérées comme se plaçant elles-mêmes en situation d’être exclues.

    Les termes de « tournant » comme de « civique » sont à complexifier : le premier car, pour certains pays comme la France, les dispositifs en question manifestent peu de nouveauté, et certainement pas une rupture, par rapport aux politiques antérieures, et le second parce que le caractère « civique » de ces mesures et dispositifs d’intégration est nettement moins évident que leur orientation morale et culturelle, en un mot, identitaire.

    En l’occurrence, c’est bien plutôt la notion d’intégration « éthique », telle que la définit #Jürgen_Habermas, qui s’avère ici pertinente pour qualifier ces politiques : « éthique » est, selon lui, une conception de l’intégration fondée sur la stabilisation d’un consensus d’arrière-plan sur des « valeurs » morales et culturelles ainsi que sur le maintien, sinon la sécurisation, de l’identité et du mode de vie majoritaires qui en sont issus. Cette conception se distingue de l’intégration « politique » qui est fondée sur l’observance par toutes et tous des normes juridico-politiques et des principes constitutionnels de l’État de droit démocratique. Tandis que l’intégration « éthique » requiert des étrangers qu’ils adhèrent aux « valeurs » particulières du groupe majoritaire, l’intégration « politique » leur demande de se conformer aux lois et d’observer les règles de la participation et de la délibération démocratiques.

    Or, les politiques d’immigration, d’intégration et de naturalisation actuellement développées en Europe sont bel et bien sous-tendues par cette conception « éthique » de l’intégration. Elles conditionnent l’accès au « nous » à l’adhésion à un socle de « valeurs » officiellement déclarées comme étant déjà « communes ». Pour reprendre un exemple français, cette approche ressort de la manière dont sont conçus et mis en œuvre les « #contrats_d’intégration » (depuis le #Contrat_d’accueil_et_d’intégration rendu obligatoire en 2006 jusqu’à l’actuel #Contrat_d’intégration_républicaine) qui scellent l’engagement de l’étranger souhaitant s’installer durablement en France à faire siennes les « #valeurs_de_la_République » et à les « respecter » à travers ses agissements. On retrouve la même approche s’agissant de la naturalisation, la « #condition_d’assimilation » propre à cette politique donnant lieu à des pratiques administratives d’enquête et de vérification quant à la profondeur et la sincérité de l’adhésion des étrangers auxdites « valeurs communes », la #laïcité et l’#égalité_femmes-hommes étant les deux « valeurs » systématiquement mises en avant. L’étude de ces pratiques, notamment les « #entretiens_d’assimilation », et de la jurisprudence en la matière montre qu’elles ciblent tout particulièrement les personnes de religion et/ou de culture musulmanes – ou perçues comme telles – en tant qu’elles sont d’emblée associées à des « valeurs » non seulement différentes, mais opposées aux « nôtres ».

    Portées par un discours d’affrontement entre « systèmes de valeurs » qui n’est pas sans rappeler le « #choc_des_civilisations » thématisé par #Samuel_Huntington, ces politiques, censées « intégrer », concourent pourtant à radicaliser l’altérité « éthique » de l’étranger ou de l’étrangère : elles construisent la figure d’un « autre » appartenant – ou suspecté d’appartenir – à un système de « valeurs » qui s’écarterait à tel point du « nôtre » que son inclusion dans le « nous » réclamerait, de notre part, une vigilance spéciale pour préserver notre #identité_collective et, de sa part, une mise en conformité de son #identité_personnelle avec « nos valeurs », telles qu’elles s’incarneraient dans « notre mode de vie ».

    Exclusion des « autres » et homogénéisation du « nous » : les risques d’une « #Europe_des_valeurs »

    Le recours aux « valeurs communes », pour définir les « autres » et les conditions de leur entrée dans le « nous », n’est pas spécifique aux politiques migratoires des États nationaux. L’UE, dont on a vu qu’elle tenait à s’affirmer en tant que « communauté morale », a substitué en 2009 au terme de « #principes » celui de « valeurs ». Dès lors, le respect de la dignité humaine et des droits de l’homme, la liberté, la démocratie, l’égalité, l’État de droit sont érigés en « valeurs » sur lesquelles « l’Union est fondée » (art. 2 du Traité sur l’Union européenne) et revêtent un caractère obligatoire pour tout État souhaitant devenir et rester membre de l’UE (art. 49 sur les conditions d’adhésion et art. 7 sur les sanctions).

    Reste-t-on ici dans le périmètre d’une « intégration politique », au sens où la définit Habermas, ou franchit-on le cap d’une « intégration éthique » qui donnerait au projet de l’UE – celui d’une intégration toujours plus étroite entre les États, les peuples et les citoyens européens, selon la formule des traités – une portée résolument identitaire, en en faisant un instrument pour sauvegarder la « #civilisation_européenne » face à d’« autres » qui la menaceraient ? La seconde hypothèse n’a certes rien de problématique aux yeux des partisans de la quête d’« Européanité », pour qui le projet européen n’a de sens que s’il est tout entier tourné vers la défense de la « substance » identitaire de la « civilisation européenne ».

    En revanche, le passage à une « intégration éthique », tel que le suggère l’exhortation à s’en remettre à une « Europe des valeurs » plutôt que des droits ou de la citoyenneté, comporte des risques importants pour celles et ceux qui souhaitent maintenir l’Union dans le giron d’une « intégration politique », fondée sur le respect prioritaire des principes démocratiques, de l’État de droit et des libertés fondamentales. D’où également les craintes que concourt à attiser l’association explicite des « valeurs de l’Union » à un « mode de vie » à préserver de ses « autres éthiques ». Deux risques principaux semblent, à cet égard, devoir être mentionnés.

    En premier lieu, le risque d’exclusion des « autres » est intensifié par la généralisation de politiques imposant un critère de #compatibilité_identitaire à celles et ceux que leur altérité « éthique », réelle ou supposée, concourt à placer à l’extérieur d’une « communauté de valeurs » enracinée dans des traditions particulières, notamment religieuses. Fondé sur ces bases identitaires, le traitement des étrangers en Europe manifesterait, selon #Etienne_Tassin, l’autocontradiction d’une Union se prévalant « de la raison philosophique, de l’esprit d’universalité, de la culture humaniste, du règne des droits de l’homme, du souci pour le monde dans l’ouverture aux autres », mais échouant lamentablement à son « test cosmopolitique et démocratique ». Loin de représenter un simple « dommage collatéral » des politiques migratoires de l’UE, les processus d’exclusion touchant les étrangers constitueraient, d’après lui, « leur centre ». Même position de la part d’Étienne Balibar qui n’hésite pas à dénoncer le « statut d’#apartheid » affectant « l’immigration “extracommunautaire” », signifiant par là l’« isolement postcolonial des populations “autochtones” et des populations “allogènes” » ainsi que la construction d’une catégorie d’« étrangers plus qu’étrangers » traités comme « radicalement “autres”, dissemblables et inassimilables ».

    Le second risque que fait courir la valorisation d’un « nous » européen désireux de préserver son intégrité « éthique », touche au respect du #pluralisme. Si l’exclusion des « autres » entre assez clairement en tension avec les « valeurs » proclamées par l’Union, les tendances à l’homogénéisation résultant de l’affirmation d’un consensus fort sur des valeurs déclarées comme étant « toujours déjà » communes aux Européens ne sont pas moins susceptibles de contredire le sens – à la fois la signification et l’orientation – du projet européen. Pris au sérieux, le respect du pluralisme implique que soit tolérée et même reconnue une diversité légitime de « valeurs », de visions du bien et du monde, dans les limites fixées par l’égale liberté et les droits fondamentaux. Ce « fait du pluralisme raisonnable », avec les désaccords « éthiques » incontournables qui l’animent, est le « résultat normal » d’un exercice du pouvoir respectant les libertés individuelles. Avec son insistance sur le partage de convictions morales s’incarnant dans un mode de vie culturel, « l’Europe des valeurs » risque de produire une « substantialisation rampante » du « nous » européen, et d’entériner « la prédominance d’une culture majoritaire qui abuse d’un pouvoir de définition historiquement acquis pour définir à elle seule, selon ses propres critères, ce qui doit être considéré comme la culture politique obligatoire de la société pluraliste ».

    Soumis aux attentes de reproduction d’une identité aux frontières « éthiques », le projet européen est, en fin de compte, dévié de sa trajectoire, en ce qui concerne aussi bien l’inclusion des « autres » que la possibilité d’un « nous » qui puisse s’unir « dans la diversité ».

    https://laviedesidees.fr/L-Europe-et-la-fabrique-de-l-etranger
    #identité #altérité #intégration_éthique #intégration_politique #religion #islam

    • Politique de l’exclusion

      Notion aussi usitée que contestée, souvent réduite à sa dimension socio-économique, l’exclusion occupe pourtant une place centrale dans l’histoire de la politique moderne. Les universitaires réunis autour de cette question abordent la dimension constituante de l’exclusion en faisant dialoguer leurs disciplines (droit, histoire, science politique, sociologie). Remontant à la naissance de la citoyenneté moderne, leurs analyses retracent l’invention de l’espace civique, avec ses frontières, ses marges et ses zones d’exclusion, jusqu’à l’élaboration actuelle d’un corpus de valeurs européennes, et l’émergence de nouvelles mobilisations contre les injustices redessinant les frontières du politique.

      Tout en discutant des usages du concept d’exclusion en tenant compte des apports critiques, ce livre explore la manière dont la notion éclaire les dilemmes et les complexités contemporaines du rapport à l’autre. Il entend ainsi dévoiler l’envers de l’ordre civique, en révélant la permanence d’une gouvernementalité par l’exclusion.

      https://www.puf.com/politique-de-lexclusion

      #livre

  • L’#UNRWA a été créé parce que l’état sioniste et ses appuis avaient refusé que les réfugiés palestiniens soient pris en charge par l’ « Agence des Nations Unies pour les #réfugiés » (#HCR).

    In waging war on the UN refugee agency, the West is openly siding with Israeli genocide
    https://www.jonathan-cook.net/blog/2024-01-30/war-un-refugee-israel-genocide

    UNRWA is separate from the UN’s main refugee agency, the UNHCR, and deals only with Palestinian refugees. Although Israel does not want you to know it, the reason for there being two UN refugee agencies is because Israel and its western backers insisted on the division back in 1948. Why? Because Israel was afraid of the Palestinians falling under the responsibility of the UNHCR’s forerunner, the International Refugee Organisation. The IRO was established in the immediate wake of the Second World War in large part to cope with the millions of European Jews fleeing Nazi atrocities.

    Israel did not want the two cases treated as comparable, because it was pushing hard for Jewish refugees to be settled on lands from which it had just expelled Palestinians. Part of the IRO’s mission was to seek the repatriation of European Jews. Israel was worried that very principle might be used both to deny it the Jews it wanted to colonise Palestinian land and to force it to allow the Palestinian refugees to return to their former homes. So in a real sense, UNRWA is Israel’s creature: it was set up to keep the Palestinians a case apart, an anomaly.

    Nonetheless, things did not go exactly to plan for Israel. Given its refusal to allow the refugees to return, and the reluctance of neighbouring Arab states to be complict in Israel’s original act of ethnic cleansing, the Palestinian population in UNRWA’s refugee camps ballooned.

  • #UNRWA Is A Threat To Israel’s Ethnonationalist Plan’ - UN Human Rights Lawyer #Craig_Mokhiber - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=1BdP7Hr4DT8

    Human Rights lawyer and former UN official Craig Mokhiber explains the real reason the U.S. is defunding UNRWA, why it’s a terrible decision and how it will cause Palestinians to suffer even more than they already are.

    Craig Mokhiber is a longtime international human rights lawyer who served as director of the New York Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights. He has resigned after publicly accusing the U.N. of failing to address what he calls a “text-book case of genocide” unfolding in Gaza. His resignation letter has gone viral.

  • Israel, Unrwa and the West: A history of claims and cuts
    By Alex MacDonald | Published date: 29 January 2024 | Middle East Eye
    https://www.middleeasteye.net/news/unrwa-budget-cuts-history-israel-west

    Palestinian refugees queue for food distributed by the UN Relief and Work Agency for Palestinian refugees at a camp in Gaza, 9 November 1956 (Rene Jarland/AFP)

    . (...) Such claims are heavily disputed by Unrwa and the UN more broadly, and with 13,000 staff in Gaza alone, the survival of the organisation could mean life or death for many of the enclave’s inhabitants.

    The campaign against Unrwa by Israel and its allies did not begin after 7 October, however, as Katz admitted.

    Middle East Eye takes a look at some of the earlier attempts to undermine the refugee agency:
    Why all the hostility?

    With more than 30,000 staff members, Unrwa is the largest UN body, operating across Syria, Lebanon, Jordan and the occupied Palestinian territories.

    Although initially created as a temporary measure to aid the displaced Palestinian people, the decades-long failure to resolve the refugee crisis meant many of the camps serviced by Unrwa have developed into full-blown neighbourhoods with permanent facilities, religious and educational bodies and essential services.

    Unrwa remains at the heart of these neighbourhoods, with 99 percent of its staff recruiting from the local population.

    The existence of a separate specific body for Palestinian refugees apart from the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) has long been criticised by Israel, with officials arguing that it has helped prevent the integration of the refugees in other Arab countries. (...)

    #UNRWA

  • Noam Peleg sur X :
    https://twitter.com/NoamPeleg/status/1751818821567123882

    Israel’s war against UNRWA didn’t start today, and it has nothing to do with Oct 7. It’s about Palestinian right of return .

    A short thread:

    In 2016, a right wing thing tank ’Kohelet’ published a “position paper” that labels UNRWA as an organisation that aids terror and therefore it should be eliminated and its workers should be prosecuted

    In 2017, Avigdor Liberam, then the Minister of Foreign Affairs, asked the US to stop funding UNRWA, citing Kohelet’s "concerns ».

    In 2018, Netanyahu was explicit about Israel’s motivations: “This is an organization that perpetuates the problem of Palestinian refugees, it also perpetuates the narrative of the right of return”.

    The tactic of labelling organisations as ’terror organisations’ isn’t new. 2 yrs ago Israel used it against 6 human rights org at the West Bank and demanded that the EU and others stop funding them.This call was rejected as no evidence were provided.

    #UNRWA #états-unis #leadership #génocide

    • Le lien sur la déclaration de Netanyahu (janvier 2018)

      נתניהו הודיע : « מקימים אי מלאכותי לחופי ישראל, חושב על זה עוד מ-96’ » | חדשות מעריב
      https://www.maariv.co.il/news/politics/Article-616831

      אם בקרוב ישראל תיכנס לרשימת הרשימות המצומצמת אשר מחזיקות באי מלאכותי? ייתכן מאוד. ראש הממשלה בנימין נתניהו, הודיע כי הוא מתכוון למנות צוות אשר יחל בעבודה על מנת לגרום לתוכנית הגרנדיוזית לקרות. נתניהו, אשר הציג את הכוונה לעשות זאת בפתח ישיבת הממשלה, טען כי הוא חושב על הרעיון במשך 20 השנים האחרונות, ולא הזכיר במילה אחת את השר ישראל כ"ץ, אשר דוחף את הנושא בשנים האחרונות.

      “אני מביא לממשלה אישור לצוות כדי שיקים אי מלאכותי לחופינו. ישראל היא אחד המקומות הצפופים בעולם. ההצעה הזאת צריכה לעזור להקים ליד חופי ישראל איים מלאכותיים שינתבו את העבודה לשם. זה דבר שאני חושב עליו מאז הקדנציה הראשונה שלי ב-96’ וזה נעצר בגלל ארגוני זכויות הסביבה והתכנון. ב-20 השנים האחרונות התפתחה הטכנולוגיה ויש היתכנות פיננסית וטכנולוגית. מיניתי את פרופ’ אבי שמחון שיעמוד בראש הצוות”.

      עוד לפני כן מתח נתניהו ביקורת על אונר"א, סוכנות הפליטים הפלסטינית, וטען כי היא צריכה לחלוף מהעולם: “אני מסכים לחלוטין עם הביקורת החריפה של הנשיא טראמפ על ארגון אונר”א. זהו ארגון שמנציח את בעיית הפליטים הפלסטינים, הוא גם מנציח את הנרטיב של זכות השיבה, כביכול, במטרה לחסל את מדינת ישראל ולכן אונר"א צריך לעבור מן העולם. זהו גוף שהוקם בנפרד לפני 70 שנה, רק לפליטים הפלסטינים, בשעה שיש את נציבות האו"ם לטיפול בבעיות יתר הפליטים בעולם. כמובן שהדבר הזה יוצר מצב שיש כבר נינים של פליטים שאינם פליטים שמטופלים על ידי אונר"א, ויעברו עוד 70 שנה ויהיו ניני-נינים - ולכן את האבסורד הזה צריך להפסיק. “אני הצעתי הצעה פשוטה, את כספי התמיכה לאונר”א צריך להסב בהדרגה לנציבות האו"ם לפליטים, עם קריטריונים ברורים לתמיכה בפליטות אמתית ולא בפליטות פיקטיבית כפי שהדבר קורה היום תחת אונר"א. את העמדה הזאת הבאתי לתשומת ליבה של ארצות הברית. זו הדרך להעביר את אונר"א מן העולם, ולטפל בבעיות פליטות אמתית, במידה שיוותרו כאלה".

  • Thread by MouinRabbani on Thread Reader App – Thread Reader App
    https://threadreaderapp.com/thread/1751803165216010536.html

    THREAD: There have been a number of important developments over the weekend.

    Three US soldiers were killed, and several dozen wounded, in a drone attack on a US military/intelligence base known as Tower 22 in northeastern Jordan, the region where the borders of Jordan, Syria, and Iraq meet.

    The Jordanian authorities continue to insist that the attack was in fact directed at the US base in Tanf in southeastern Syria rather than Tower 22, because it does not want to draw unnecessary attention to the highly unpopular US military presence on Jordanian territory.

    The US deployment is regulated by the 2022 US-Jordan Memorandum of Understanding on Strategic Partnership, which gives Washington virtually unlimited rights to use Jordanian territory for US military purposes, and the Jordanian treasury USD 1.45 billion per year for seven years.

    The attack is significant for a number of reasons. Although there have been numerous attacks on US bases and forces in the Middle East since 7 October 2023, including in Iraq, Syria, in the Red Sea off Yemen, and according to unconfirmed reports Israel as well, these are the first confirmed killings of US soldiers in the region since that date. (Two Navy SEALS died off Yemen’s coast recently, but it was reported as an accident). It is also the first confirmed attack on or from Jordanian territory since 7 October.

    Responsibility for the attack was claimed by the Islamic Resistance in Iraq, a coalition of groups aligned with the Axis of Resistance, itself a coalition of states and movements in the region opposed to US-Israeli hegemony in the Middle East.

    According to the statement of responsibility the attack, apparently launched from Syrian rather than Iraqi territory, is intended to raise the cost of Israel’s genocidal onslaught on the Gaza Strip and US support for Israel’s mass killings.

    “If the US keeps supporting Israel, there will be escalations. All US interests in the region are legitimate targets and we don’t care about US threats to respond.” The expulsion of US forces from Iraq and Syria is an additional, unspoken objective.

    In his own statement about the incident, US President Joe Biden blamed “radical Iran-backed militant groups operating in Syria and Iraq”.
    White House spokesperson John Kirby will probably be trotted out to deny any connection whatsoever between developments in Jordan and Gaza, much as he has done in relation to attacks by Ansar Allah off Yemen’s coast, which even more explicitly reference the Gaza Strip.

    Given US casualties, Washington is virtually certain to respond to this escalation with a significant escalation of its own. This in turn brings direct conflict between the US and Iran one big step closer, from plausible but unlikely to plausible and possible.

    Powerful forces in both the US and Israel have been agitating for such a scenario since 7 October, and will now see a new opportunity to make this a reality.

    The broader significance is that US forces are now dying in defense of Israel. Throughout this war Washington has had a clear choice: put an end to Israel’s genocidal onslaught on the Gaza Strip, or engage in conflict with regional forces determined to do so themselves.

    Given Israel’s extraordinary level of military and political dependence on the US, so visibly demonstrated these past several months, it would take only a brief phone call to achieve the former. But the Biden administration has consistently chosen for the latter.

    In the words of @asadabukhalil : “The US does not want a cease-fire in Gaza and objects to the regional repercussions of its rejection of the ceasefire.”

    That’s not how the US-Israeli relationship is supposed to work. Israel is the designated proxy, assigned to defend Western interests in the Middle East. A “stationary aircraft carrier”, in the words of former US Secretary of State Alexander Haig.

    Instead, the US is functioning as Israel’s proxy, now fighting on multiple fronts, its soldiers dying to defend Israel and protect its ability to continue fighting in the Gaza Strip. This is because for more than 100 days, Israel’s longest war since 1948-1949, it has proven incapable of defeating Hamas, a second-order guerilla movement that doesn’t possess a single aircraft, tank, warship, or anti-aircraft defense system. Its long-range missiles basically need to make a direct impact on an individual’s forehead to achieve a kill.

    As previously argued, Israel’s military incompetence and mediocre performance will have long-lasting consequences for its strategic relationship with its Western sponsors.

    To put it simply, t-shirts emblazoned with an Israeli fighter jet and the slogan “Don’t Worry America, Israeli is Behind You!” used to popular among visiting tourists. I suspect they can now be obtained at a steep discount.

    Related to this, a rally was held in Jerusalem today to promote the expulsion of Palestinians from the Gaza Strip and renewal of Israeli settlements in that occupied territory. It was attended by no less than 12 of Israel’s 37 government ministers (almost a third), including several leaders of parties represented in that state’s genocidal coalition. Two of Israel’s most senior leaders, Minister of National Security Itamar Ben-Gvir and Minister of Finance Bezalel Smotrich, addressed the raucous and adoring crowd of several thousand.

    Ben-Gvir leads Otzma Yehudit (“Jewish Power”), a Kahanist party that is Israel’s equivalent of Germany’s Nazis. Bezalel Smotrich is the leader of Tkuma (Religious Zionist Party), also Israel’s equivalent of Germany’s Nazis.

    One thing that distinguishes these parties (and a few others) from others in Israel is their insistence that Israel is sufficiently powerful to act unilaterally and do as it pleases, and sufficiently independent to give the world, including Israel’s sponsors in the US and Europe, the middle finger. That’s why they convened this meeting within 48 hours of the International Court of Justice session indicating that Israel has plausibly been accused of genocide.

    The above notwithstanding Ben-Gvir and Smotrich have the mannerisms of spoiled children more than seasoned gangsters. Insufferable kids who feel free to grab or break anything they want at the store because they know Mummy and Daddy are there to take care of things, and clean up any resulting mess. In other words, they talk big but know they can only do so because Biden and Brussels have their back. And on this score they’re right.

    Which brings me to UNRWA. Several of Israel’s sponsors, including the US and UK, have suspended their funding of the UN refugee agency for Palestine refugees in response to unproven allegations that several of its employees participated in the attacks on Israel on 7 October. It’s a bit like cutting off aid to a foreign country because a dozen of its civil servants have been charged (but not yet tried) for participation in criminal activity.

    There’s much going on here, including a long-term campaign to liquidate the Palestinian refugee question, in which UNRWA serves as a primary surrogate for US-Israeli hysteria. And a history of previous Israeli allegations against UNRWA subsequently exposed as fraudulent. (For example, a 2014 drone video released by Israel of two UNRWA medics purportedly using an ambulance to transport Hamas missiles was later revealed to be two UNRWA medics transporting a stretcher into an ambulance.)

    But when it comes to UNRWA, a rush to judgement is obligatory, the agency is guilty until proven innocent, and then still guilty.

    The Israeli allegations were transparently released to divert from the ICJ ruling. The response of multiple Western governments should also be seen as a response to the ICJ.

    In their rules-based international order, it is a violation of international law to apply international law to Israel or Western states.

    South Africa dares to hold Israel accountable for genocide? Let’s see what it thinks when we deliberately intensify hunger and famine in the Gaza Strip.

    I’ll conclude by citing the comment of @sarahleah1, former head of MENA at Human Rights Watch and currently Executive Director of Democracy for the Arab World Now (DAWN): “It took Blinken about 3 seconds to suspend UNRWA aid based on mere allegations that 12 employees linked to Hamas attack, but despite evidence that IDF has indiscriminately & deliberately massacred tens of thousands of Palestinians – plausibly a genocide ICJ said – zero suspension of military aid”. END

  • Tayab Ali sur X :
    https://twitter.com/tayab_ali_/status/1751743857157349869

    Hold fast. Stay true. Don’t let the vile attacks, #distraction and spin hide the TRUTH.

    Insist on applying the rule of law and principles of justice to the situation in Gaza.

    No matter that the @bbc
    @ITV @SkyNews and others suppress the full scale of the ICJ proceedings or how much spin is put on the ICJ ruling the facts will remain the same:

    1. The ICJ accepted it had jurisdiction to deal with South Africa’s allegation that Israel was guilty of Genocide.

    2. South Africa has standing to bring the case.

    3. The ICJ found allegations of Genocide to be plausible and outlined the statements made by Israeli politicians that support intent to commit Genocide.

    4. The ICJ found if Isreal was left to its own decisions the harm to Palestinians would be irreparable.

    5. It ordered Israel to prevent Genocidal acts contained in Article II of the Genocide Act.

    6. It ordered the increase of humanitarian aid.

    7. Israel was ordered to report in 1 month to the ICJ what steps it has taken to prevent Genocide or face further sanction.

    8. The ICJ called for the immediate release and unconditional release of hostages.

    9. The allegation of Genocide against Israel will proceed to a full trial - Israel will be on trial for #Genocide.

    10. Palestinians in #Gaza continue to face a humanitarian catastrophe.

    11. Defunding #UNRWA at this point is likely to be breach of the Genocide convention in its own right unless States provide direct aid to alleviate the humanitarian crisis.

    12. There is a sufficient legal basis for national crime agencies to investigate Israeli war crimes.

    13. It is NOW time for the International Criminal Court to issue arrest warrants for Israeli suspected war criminals.

  • Unrwa : « Cette campagne doit aussi se comprendre comme une forme de punition collective de l’agence »
    RFI – Publié le : 28/01/2024
    La polémique autour de l’Unrwa ne faiblit pas. L’agence des Nations unies pour les réfugiés palestiniens est dans la tourmente, depuis qu’elle a annoncé vendredi 26 janvier avoir licencié neuf de ses salariés, accusés par Israël d’avoir participé aux attaques du 7-Octobre. Plusieurs pays, États-Unis en tête, ont annoncé la suspension de leurs financements à cette agence dans l’attente des conclusions d’une enquête. L’affaire a éclaté juste après que la Cour internationale de justice a rendu son avis sur Gaza, stipulant qu’il y existait un risque de génocide et ordonnant que plus d’aide humanitaire puisse accéder à l’enclave assiégée. Johann Soufi, ancien directeur du bureau juridique de l’Unrwa dans la bande de Gaza, fait en tout cas le lien. Entretien.

    https://www.rfi.fr/fr/moyen-orient/20240128-unrwa-cette-campagne-doit-aussi-se-comprendre-comme-une-forme-de-puniti

    RFI : L’annonce des sanctions de l’Unrwa contre ses employés est survenue vendredi, sur la base d’informations transmises à l’Unrwa par Israël. Vendredi, c’est également le jour où la Cour internationale de justice rendait ses mesures conservatoires face au risque de génocide à Gaza. Cette concomitance est-elle un hasard du calendrier ?

    Johann Soufi : Je pense qu’il faut faire plus que s’interroger sur cette concomitance. Il faut la noter et relever que le jour où il y a une décision qui reconnaît judiciairement le risque de génocide à Gaza, eh bien, il y a ce contre-feu qui est allumé pour, j’ai l’impression, d’une certaine manière, faire diversion et amener dans le débat public un sujet autre que celui des crimes commis dans la bande de Gaza.

    L’Unrwa est la cible fréquente de critiques de la part d’Israël et celles-ci ont été nombreuses depuis les attaques du 7-Octobre et le début des opérations militaires israéliennes dans la bande de Gaza.

    Oui, mais parce qu’elles s’inscrivent dans un projet politique plus large, qui est d’éloigner au maximum, voire de déporter une partie ou la totalité des habitants de la bande de Gaza. Et comme l’ont dit plusieurs responsables israéliens, ce projet passe nécessairement par la neutralisation ou la disparition de l’Unrwa. Ces attaques, qui sont décuplées depuis quelques semaines, s’inscrivent clairement dans ce projet politique.

    Je pense totalement qu’aujourd’hui ça s’inscrit dans une double stratégie. La première, c’est de décrédibiliser une institution qui, jusqu’à présent, était la source principale d’information des médias internationaux, puisqu’il n’y a pas d’agence de presse autorisée à rentrer ou d’enquêteurs internationaux autorisés à rentrer dans la bande de Gaza.

    Également, je pense que le fait que la Cour internationale de justice ait, dans son ordonnance, utilisée de manière si importante les déclarations de l’agence et de son commissaire général a joué un rôle important dans la décision de s’attaquer de manière, peut-être cette fois définitive, à l’Unrwa. Et donc oui, je n’ai absolument aucun doute sur le fait que cette campagne doit aussi se comprendre comme une forme de punition collective de l’agence et de tentative de dissuasion de l’agence. (...)

    #UNRWA

    • L’Unrwa dans la tourmente : réactions dans le camp de réfugiés de Qalandya, en Cisjordanie
      28 janvier 2024 - 20h30 -RFI
      https://www.rfi.fr/fr/moyen-orient/20240128-en-direct-gaza-onu-exhorte-%C3%A0-garantir-la-poursuite-op%C3%A9rations

      L’agence des Nations unies pour les réfugiés palestiniens, au cœur de l’aide humanitaire à Gaza, a annoncé vendredi s’être séparée de plusieurs employés accusés d’être impliqués dans l’attaque du 7 octobre 2023. Depuis, des pays ont annoncé la suspension de leurs financements à l’agence, la mettant directement en péril, ainsi que ses bénéficiaires.

      Notre correspondante à Ramallah, Alice Froussard, revient du camp de réfugiés de Qalandya, coincé derrière le mur de séparation entre Jérusalem et Ramallah, en Cisjordanie. Pour la plupart des réfugiés, explique-t-elle, cette annonce a fait l’effet d’une douche froide. L’Unrwa est une bouée de secours, alors que nous sommes déjà sous occupation, que nos ancêtres ont été chassés de chez eux, voilà ce que disent la plupart des Palestiniens rencontrés.

      Sur place, à l’entrée du camp, on aperçoit les écoles bleues et blanches, gérées par l’agence des Nations unies. C’est elle qui est en charge de l’éducation, mais aussi du système de santé, de l’aide d’urgence, des services sociaux, des infrastructures ou encore de la micro-finance pour les réfugiés palestiniens.

      Dans les ruelles minuscules, un habitant, Khaled, la cinquantaine, montre sa carte de réfugié, un statut qui se transmet de générations en générations. L’homme parle de l’office onusien comme de la seule structure qui peut lui garantir un possible droit au retour. Si l’agence vient à disparaitre, c’est ce statut qui pourrait être menacé.

      Mais ce qui revient le plus, chez les habitants de Qalandya, ce sont leurs pensées aux Gazaouis : comment vont-ils s’en sortir sans l’Unrwa ?, demandent-ils. Dans cette bande de terre sous blocus, ravagée par la guerre, l’organisme des Nations unies est en effet le principal acteur humanitaire.

  • De plus en plus de voix soulignent que les pays qui ont coupé leur financement à l’UNRWA le lendemain même de l’ordonnance de la cour internationale sont certainement en train de participer elles-mêmes au crime de génocide.

    J’aurais même tendance à penser que c’est là la réponse des amis d’Israël à l’ordonnance de la cour. C’est plus qu’un « contrefeu » destiné à détourner l’attention : au contraire, c’est ce qu’en anglais on nomme « power move » (An aggressive action taken to demonstrate power and dominance.) Montrer que la décision de la cour non seulement n’aura aucun effet pratique pour les Palestiniens (les médias ne cessent déjà de répéter que l’ordonnance est inutile, parce qu’elle sera sans effet), mais qu’au contraire plus on ira dans sur cette voie (de la justice internationale) et plus les Palestiniens souffriront.