2023 – Progetto Melting Pot Europa

/2023

  • XI #Marcha_po_la_Dignidad - #Tarajal | 3.02.2024 | 10 AÑOS EXIGIENDO VERDAD, JUSTICIA Y REPARACIÓN.

    *English version below.
    **Traduction en Français ci-dessous.

    La XI MARCHA POR LA DIGNIDAD es un acto en memoria de las personas a las que arrebataron la vida la mañana del 6 de febrero de 2014 en la playa del Tarajal en Ceuta, pero también es un acto de denuncia por todas las personas a las que les arrebatan la vida por falta de vías legales y seguras para migrar.

    Los colectivos y organizaciones que quieran adherirse a la XI MARCHA POR LA DIGNIDAD deberán completar el siguiente formulario. Ello supondrá el siguiente compromiso:
    – Su inclusión como firmante en el manifiesto al que se dará lectura al finalizar el recorrido de la marcha en la Playa de El Tarajal.
    – Su inclusión en carteles y publicaciones para difusión del acto.
    – Su compromiso en la promoción y difusión de la iniciativa en redes locales, nacionales e internacionales.
    – El acceder a la información y materiales relacionados con la Marcha.
    – La facilitación de la toma de contacto con cualesquiera otros de los miembros incorporados a la red.
    – Asumir las directrices de las personas que conforman la organización de los actos.

    Os esperamos el próximo 3 de febrero en Ceuta.

    Redes de la Organización de la marcha:
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal
    ____________________________
    «10 YEARS DEMANDING TRUTH, JUSTICE AND REPARATION.»

    The XI MARCH FOR DIGNITY is an act in memory of the people whose lives were taken on the morning of February 6, 2014 on the beach of Tarajal, but it is also an act of denunciation for all the people whose lives are taken away from them due to the lack of legal and safe ways to migrate.

    Collectives and organizations wishing to join the XI MARCH FOR DIGNITY must complete the following form. This will involve the following commitment:

    / Their inclusion as a signatory organization in the manifesto that will be read at the end of the march.
    / Their inclusion in posters and publications for the dissemination of the event.
    / Your commitment in the promotion and dissemination of the initiative in local, national and international networks.
    / Access to information related to the march.
    / Facilitating contact with any other members of the network.
    / Assuming the guidelines of the Associations organizing the events.

    We look forward to seeing you on February 3th.

    Social networks of the March Organisation:
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
    Facebook: @marcha.tarajal
    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal
    ____________________________
    «10 ANS D’EXIGENCE DE VÉRITÉ, DE JUSTICE ET DE RÉPARATION».

    La 11e MARCHE POUR LA DIGNITÉ est un acte en mémoire des personnes dont la vie a été arrachée le matin du 6 février 2014 sur la plage de Tarajal, mais c’est aussi un acte de dénonciation pour toutes les personnes dont la vie leur est enlevée en raison de l’absence de moyens légaux et sûrs de migrer.

    Les collectifs et organisations qui souhaitent se joindre à la 11ème MARCHE POUR LA DIGNITÉ doivent remplir le formulaire suivant. Cela implique l’engagement suivant :

    / Leur inclusion en tant que signataire dans le manifeste qui sera lu à la fin de la marche.
    / Leur inclusion sur les affiches et les publications pour faire connaître l’événement.
    / Votre engagement à promouvoir et à diffuser l’initiative dans les réseaux locaux, nationaux et internationaux.
    / Accès aux informations relatives à la marche.
    / Faciliter le contact avec l’un des autres membres du réseau.
    / Assumer les directives des associations qui organisent les événements.

    Nous vous attendons le 3 février.

    Réseaux sociaux de l’organisation de la mache :
    E-mail: marcha.tarajal@gmail.com
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    Instagram: @marcha.tarajal
    Twitter: @marchatarajal

    #commémoration #commémoraction #asile #migrations #réfugiés #Ceuta #Maroc #Espagne #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #2024 #dignité #justice #vérité #mémoire

    • A 10 anni dalla strage del Tarajal la XI Marcha por la dignidad

      Sono passati 10 anni dalla strage del Tarajal a Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco. Quella tragica mattina del 6 febbraio del 2014 un gruppo molto numeroso di migranti (circa 300) prova ad entrare a Ceuta a nuoto, attraverso la spiaggia di Tarajal. La Guardia Civil cerca di fermarli, sparando pallottole di gomma e fumogeni molto vicino alle persone che si trovano in acqua. Alcuni testimoni affermano che vengono lanciati proprio sulle persone, molte delle quali galleggiano a fatica. Gli agenti sparano anche quasi duecento colpi a salve. Si diffonde il panico in acqua. Muoiono 15 persone e altri rimangono feriti.

      Per ricordare questa strage e la brutalità del regime delle frontiere ogni anno a Ceuta si svolge una manifestazione, la Marcha por la Dignidad, un atto in memoria delle persone che sono state uccise, ma anche di denuncia per tutte le persone che vengono uccise a causa della mancanza di vie legali e sicure per migrare. Quest’anno sarà sabato 3 febbraio.

      «Quanto accaduto il 6 febbraio 2014 è un chiaro esempio di razzismo di Stato. È nostro dovere antirazzista sapere cosa sta accadendo al confine meridionale spagnolo, dare eco e denunciare le flagranti violazioni dei diritti umani che vi si verificano» – scrivono dalle pagine della Marcha – «anno dopo anno, manteniamo viva la fiamma della memoria e continuiamo a denunciare le politiche migratorie europee che causano morte».

      La giornata di mobilitazione, che ha raccolto oltre 220 adesioni, è organizzata in due momenti. Nel pomeriggio dalle 15.15 inizierà la manifestazione che attraverserà le strade di Ceuta da Plaza de Los Reyes per raggiungere la spiaggia della strage. Nella tarda mattinata, alle 11.30 nella Sala delle Assemblee dell’IES ABYLA di Ceuta, la tavola rotonda in cui interverranno Patuca Fernández, Viviane Ogou e Mouctar Bah (l’incontro sarà trasmesso in diretta qui).

      «La logica razziale e coloniale ha determinato le politiche migratorie dell’Europa. I confini di Ceuta e Melilla stabiliscono una divisione tra coloro che sono considerati persone e coloro che non lo sono», spiegava nella tavola rotonda del 2023, Youssef M. Ouled, giornalista specializzato in razzismo istituzionale e sociale.
      «Ricordiamo il Tarajal ma parliamo di altre stragi. Quello che è successo nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma sistematico», ha sottolineato.

      Sono tante, troppe, le date che rappresentano purtroppo i punti più alti del razzismo e della violenza delle frontiere. Fra meno di un mese sarà passato un anno dal 26 febbraio 2023, giorno in cui 94 persone (34 di loro erano bambine/i) sono morte a soli 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro in Calabria: non una fatalità come le istituzioni vogliono far credere, ma un eccidio per omissione di soccorso diventato legge. Anche a Cutro, dopo un anno, si tornerà a manifestare ancora al fianco dei familiari e dei superstiti per non dimenticare e continuare a chiedere verità e giustizia.

      https://www.youtube.com/watch?v=g5fGZLGBVSg


      https://www.meltingpot.org/2024/02/a-10-anni-dalla-strage-del-tarajal-la-xi-marcha-por-la-dignidad

    • En 2023...

      Tarajal. Il dovere della memoria per tutte le vittime di frontiera

      Fare memoria non riguarda solo il ricordo, ma costituisce un atto politico e uno strumento di lotta per la verità e il riconoscimento delle responsabilità

      A Ceuta, enclave spagnolo situato a nord nel continente africano, centinaia di persone, tra attivistə e giovani migranti, continuano la Marcha por la Dignidad che da nove anni percorre l’intera cittadina lungo la linea che divide la Spagna dal Marocco per raggiungere la spiaggia del Tarajal dove, il 6 febbraio 2014 furono assassinate oltre 15 persone di origine sub-sahariana delle 300 che tentavano di attraversare il confine a nuoto.

      Quella mattina, all’alba di un’ennesima violenza razzista e coloniale, la Guardia Civil spagnola non solo sparò contro di loro proiettili di gomma per impedire che raggiungessero la costa, provocandone l’annegamento, ma eluse ogni tipo di soccorso delle persone in difficoltà e il recupero dei corpi in mare.

      Alla Frontera Sur sono trascorsi nove anni di impunità, nove anni di ingiustizia e violenza perpetrata verso le vittime di quella tragedia e contro tutte coloro che ogni giorno sfidano una delle frontiere più ineguali al mondo. Vigile e repressiva in modo sempre più assiduo sulle persone che da diversi paesi dell’Africa tentano l’attraversamento per mare e per terra della valla di filo spinato che separa i due continenti.

      Se è vero che nel Mediterraneo è iniziata l’Europa, altrettanto certo è che nel Mediterraneo stesso si esaurisce, tra le colonne di un mito che non ha più eroi ma esseri umani in cerca di sogni brutalmente lacerati. Uomini e donne disumanizzate affinché il fardello di colpe e responsabilità trainato da secoli di imperialismo e gerarchie di potere – ben oltre la colonialità storica – alleggerisca il suo peso.

      «Esistono due morti: quella fisica e quella ermeneutica» ha affermato Patuca Fernandez, l’avvocata di Coordinadora de barrios che prese in carico il caso del Tarajal, nel suo intervento sul dovere della memoria delle vittime di frontiera 1

      La prima costituisce quella biologica mentre la seconda riguarda quella inflitta dal processo di normalizzazione e di riduzione o perdita di rilievo del crimine che l’ha provocata. Un criminale non solo uccide la vittima ma impiega ogni sforzo necessario per trovare forme strategiche di ridurre la carica penale che ricadrebbe sui crimini commessi.

      È il modus operandi di una più profonda logica razziale che tende a interiorizzare e disumanizzare le persone migranti per normalizzare la violenza e gli abusi a loro inflitti.

      Ma queste morti non sono occasionali, né tanto meno naturali. Sono sistematiche e strutturali, legittimate da una necropolitica razzista in quanto applicata esclusivamente sulle persone che provengono da territori direttamente o indirettamente vincolati alle (ex)colonie, mediante accordi in materia di sicurezza e criminalizzazione applicata sulla base della propria origine.

      Ad oggi questo crimine resta ancora impunito, sotto la responsabilità di nessuno se non delle vittime stesse, profanate non soltanto in vita ma calpestate nella propria dignità in morte e in quella dei familiari, privati di verità e di giustizia, del diritto al dolore, al lutto, al risarcimento e alla non ripetizione.

      Fare memoria non riguarda solo il ricordo, ma costituisce un atto politico e uno strumento di lotta per la verità e il riconoscimento delle responsabilità.

      Puntare lo sguardo indietro ha un significato estremamente potente per quanto accade nel presente, e dare contenuto a quel passato che continua sistematicamente a ripetersi. Fare memoria vuol dire far conoscere la realtà di quanto accade ed esigere giustizia per ogni vittima di frontiera.

      «Ricordiamo il Tarajal ma parliamo di altre stragi», ha affermato Youssef M.Ouled, giornalista specializzato in razzismo istituzionale e sociale. «Quello che è successo nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma sistematico», ha continuato ricordando quanto accaduto di recente a Melilla2. Se cambiassero il luogo e la data, l’evidenza della violenza delle frontiere, esterne ed interne al Paese, sarebbero esattamente le medesime.

      https://www.youtube.com/watch?v=4HayyEDFaSc

      Tra le vittime più recenti, Moussa Sylla, espulso dal Ceti (Centro di residenza temporanea per migranti) di Ceuta dove era stato accolto al suo arrivo in territorio spagnolo lo scorso dicembre 2022. Moussa ha dovuto lasciare il centro senza però avere un altro luogo dove andare, allontanato come tanti altri minori che arrivano soli e finiscono abbandonati a sé stessi e alla disperazione. Fino allo scorso 26 gennaio era rimasto davanti alla porta dello stabilimento per chiedere di entrare. Sotto pioggia e freddo supplicava ripetutamente di non esser rilegato al margine ancora una volta. Ma non è stato ascoltato. Espulso dallo Stato che difende le frontiere anziché proteggere le persone, Moussa si è impiccato ad un albero dinanzi le porte dello stabilimento.

      Le colonne di Ercole, erette una di fronte all’altra nello stretto di Gibilterra, non sono più elemento di connessione ed unione tra due mondi inesplorati di un Ulisse che dal suo viaggio fa ritorno in patria. Le colonne dello stretto sono una stretta sul popolo in movimento indesiderato, una strategia ulteriore di chiusura all’Altro per cui l’hospes si è risolto in hostis.

      In questo incrocio di acque – Atlantico e Mediterraneo – e di terre, l‘Europa dall‘Africa, sorge l’inquietudine di una frontiera in cui i paesi e gli uomini non solo stanno di fronte ma sul fronte, in prima linea di guerra, per fronteggiarsi ed ispezionarsi.

      E’ al grido di «Basta violenza alle frontiere» che accompagniamo la marcia di commemor-azione che da nove anni si batte contro l’impunità che vige sul caso: l’inchiesta giudiziaria aperta, che stava per mettere al banco per omicidio colposo 16 guardie civili (scampate applicando la ‘dottrina Loot’), è stata definitivamente archiviata dalla Corte Suprema nel giugno dello scorso anno. La Corte Costituzionale sta ancora studiando se accogliere o meno i ricorsi presentati da diverse organizzazioni non governative e per conto delle famiglie delle vittime (a cui non è stato nemmeno permesso di recarsi in Spagna) per violazione dei loro fondamentali diritti alla vita, protezione giudiziaria effettiva e integrità morale, come indicato nelle dichiarazioni dell’avvocata Fernández.

      In memoria di Roger, Yves, Samba, Larios, Daouda, Luc, Youssouf, Armand, Ousmane, Keita, Jeannot, Oumarou, Blasie e le altre persone non identificate, continuiamo ad esigere che si faccia giustizia, che venga riconosciuta la responsabilità dei crimini di frontiera e garantire equi diritti a tutte le persone senza condizione alcuna.

      https://www.meltingpot.org/2023/02/tarajal-il-dovere-della-memoria-per-tutte-le-vittime-di-frontiera

    • La tomba 147 e l’instancabile lotta di giustizia per la strage del Tarajal

      Ceuta, 10 anni dal 6 febbraio 2014

      Nei tranquilli e placidi passaggi del cimitero di Santa Catalina a Ceuta, situato nel cortile di Santa Beatriz de Silva, c’è un corridoio infinito fiancheggiato da due file di lapidi, in cui si può scoprire un enigmatico labirinto di marmo. È adornato da nomi, cognomi e ornamenti che evocano la memoria di coloro che non ci sono più. Oltre questa fila, nel punto più alto, si trovano tombe meticolosamente numerate, sigillate nel freddo abbraccio del cemento. Questi loculi sono privi di nomi o vasi di fiori che ricordano le anime che riposano al loro interno. Guardando dall’altra parte dello stretto, si vedono le tombe dei migranti che sono morti nel tentativo di raggiungere la spiaggia di Tarajal a Ceuta e di altri che hanno subito lo stesso destino. Si tratta di tombe anonime. Qui giacciono cinque delle quindici persone che, il 6 febbraio 2014, hanno cercato di raggiungere a nuoto la spiaggia di Tarajal a Ceuta, situata al confine tra Marocco e Spagna.
      Ostacoli all’identificazione dei corpi delle vittime di Tarajal

      Solo il corpo di Nana Roger Chimie, un giovane camerunense, è stato identificato; gli altri resti sepolti nel sito rimangono non identificati, nonostante gli sforzi delle famiglie e degli avvocati di Samba, Larios e Ussman Hassan per chiarire l’identità dei corpi trovati dopo il ritrovamento di Nana, che giacciono sepolti lì.

      Patricia Fernández Vicent, avvocata della Coordinadora de Barrios, conferma che «Nana è stato identificato perché il suo corpo è stato ritrovato solo due giorni dopo i fatti e grazie agli oggetti personali che portava con sé quando ha cercato di attraversare il mare per raggiungere la Spagna. Inoltre, le sue condizioni hanno permesso di verificare le sue impronte digitali con i database camerunesi. Roger riposa nella tomba numero 147», che si distingue solo per la data e l’iscrizione: “Tarajal 6-2-14“.

      L’identità degli altri rimane un mistero. L’avvocata aggiunge: «Abbiamo chiesto al tribunale il test del DNA, ma è stato rifiutato in quanto non necessario per chiarire i fatti, quindi non è mai stato effettuato». C’è anche un quinto corpo la cui identità rimane sconosciuta, poiché non è stato fatto alcun tentativo formale di identificarlo.

      A distanza di dieci anni, le famiglie delle vittime sono ancora in cerca di giustizia e lottano senza sosta per ottenere il permesso di recarsi a Ceuta per identificare i loro cari. Tuttavia, il governo spagnolo ha ripetutamente negato i visti necessari per verificare se i resti appartengono a qualcuno dei parenti ancora dispersi.

      A tre anni dagli eventi, le famiglie delle vittime del Tarajal erano state ascoltate dal Congresso dei Deputati, in coincidenza con l’anniversario. Una dozzina di padri, madri, fratelli e sorelle di coloro che morirono sulla spiaggia di Ceuta avevano partecipato a un atto commemorativo in videoconferenza. «Vogliamo che sia fatta giustizia, vogliamo che la loro morte non rimanga impunita», aveva esclamato la madre di uno dei giovani morti di Douala, in Camerun, durante il tributo.

      Le famiglie dei giovani deceduti continuano a chiedere di conoscere la verità su quanto accaduto, chiedendo giustizia affinché queste morti non rimangano dimenticate e senza responsabilità. «Stavano solo cercando una vita migliore per le loro famiglie», ha detto un membro della famiglia.
      Dieci anni senza responsabilità

      A dieci anni dalle morti e dopo otto anni di procedimenti giudiziari, il caso non è ancora arrivato al processo, essendo stato archiviato tre volte dal giudice istruttore. La vicenda giudiziaria del caso Tarajal è stata complessa e prolungata. È iniziata nel febbraio 2015 quando il Tribunale di Ceuta ha convocato 16 agenti di polizia, con le Ong CEAR, Coordinadora de Barrios e Observatori DESC che hanno agito come parti civili.

      Nelle prime due istanze di archiviazione, nel 2015 e nel 2018, il giudice ha concluso che erano stati compiuti tutti i passi investigativi possibili, senza trovare prove di attività sanzionabile nei confronti dei 16 agenti della Guardia Civil coinvolti negli eventi di quella mattina del febbraio 2014. Tuttavia, il Tribunale Provinciale di Ceuta ha ribaltato entrambe le decisioni nel 2017 e nel 2018, incaricando il giudice di identificare i cinque deceduti e di raccogliere le dichiarazioni dei sopravvissuti. Nell’ottobre 2017, la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Spagna per pratiche simili a Melilla.

      Il caso è stato nuovamente chiuso nel gennaio 2018, ma dopo i ricorsi, nell’agosto 2018, il Tribunale Provinciale di Cadice ha deciso di riaprire il caso, sottolineando le inadeguatezze dell’indagine. Nel settembre 2019, 16 agenti della Guardia Civil sono stati processati, ma il fascicolo è stato chiuso per la terza volta nell’ottobre 2019, provocando ulteriori ricorsi. Il Tribunale Provinciale di Cadice ha respinto i ricorsi nel luglio 2020.

      Le Ong hanno presentato un ricorso in Cassazione alla Corte Suprema, che è stato respinto nel maggio 2022. Nel luglio 2022 è stato presentato un ricorso per amparo alla Corte Costituzionale 1. Infine, nel giugno 2023, la Corte Costituzionale ha ammesso il ricorso per amparo, aprendo la possibilità di stabilire una dottrina costituzionale che protegga i diritti dei migranti alle frontiere.

      Nonostante si tratti di uno dei casi più mediatici degli ultimi anni, né i giudici né i pubblici ministeri si sono pronunciati pubblicamente durante il processo, limitandosi a fare riferimento alle ordinanze e ai documenti inviati alle parti. Una fonte giudiziaria ha spiegato a questo corrispondente che “si trattava di un caso insolito, in quanto era la prima volta che si trovavano di fronte a un gruppo di assalto marittimo“. Inoltre, ha sottolineato che le questioni legali sono complicate, in quanto bisogna stabilire “se c’è una responsabilità condivisa per i crimini sconsiderati e qual è stata la partecipazione specifica di ciascuna guardia civile“. Questo perché le sanzioni non possono essere applicate a gruppi, il che solleva questioni di natura strettamente legale.

      Cosa è successo nelle prime ore del 6 febbraio 2014 sulla spiaggia di Tarajal a Ceuta

      Nelle prime ore del 6 febbraio 2014, circa 400 persone hanno tentato di attraversare la barriera di confine che separa il Marocco dall’Europa. La Guardia Civil, dispiegata lungo l’intero perimetro del confine, ha cercato di impedire al gruppo di entrare a Ceuta utilizzando attrezzature antisommossa, proiettili di gomma, gas lacrimogeni e detonazioni acustiche.

      Almeno 15 persone sono state uccise e molte altre gravemente ferite. Coloro che sono sopravvissuti e sono riusciti a raggiungere il lato spagnolo della spiaggia di Tarajal sono stati immediatamente rispediti in Marocco. La mattina successiva furono ritrovati 14 corpi, 5 in Spagna e 9 in Marocco. Ufficialmente, 23 persone sono state riportate in Marocco e solo una persona è stata dichiarata dispersa.

      Secondo le ONG coinvolte nell’accusa popolare contro le guardie civili, “molte testimonianze di sopravvissuti e testimoni, insieme ai video ufficiali rilasciati dalla Guardia Civil, dimostrano che la delegazione governativa a Ceuta era a conoscenza in ogni momento dell’attivazione del livello massimo di allerta, che prevedeva la mobilitazione di varie unità della Guardia Civil dotate di attrezzature anti-sommossa“. L’allerta è stata attivata per impedire al gruppo di circa 400 persone di entrare in territorio spagnolo. Si trattava di coloro che erano riusciti a eludere i controlli delle forze marocchine nei boschi vicino al confine con Ceuta e a raggiungere la spiaggia, nella zona marocchina, dove si sono gettati in mare. Secondo i testimoni, circa 1.500 persone, per lo più africani subsahariani, hanno cercato di entrare in Europa quella mattina, ma solo 400 sono riusciti ad avvicinarsi.

      La Guardia Civil ha affrontato il gruppo in assetto antisommossa mentre nuotava verso la riva, lanciando candelotti fumogeni e palle di gomma dal frangiflutti. Questa azione non è stata inizialmente riconosciuta dal delegato del governo, Francisco Antonio González, e successivamente dal direttore generale della Guardia Civil, Arsenio Fernández de Mesa, che ha negato l’uso di materiale antisommossa in acqua, attribuendo la responsabilità dei morti alle forze marocchine.
      Le bugie del Ministero degli Interni

      Jorge Fernández Díaz, all’epoca Ministro degli Interni, si presentò una settimana dopo al Congresso ammettendo l’uso di materiale antisommossa come deterrente, ma indicando l’acqua. Queste spiegazioni seguirono la diffusione di immagini che mostravano gli agenti della Guardia Civil utilizzare “145 proiettili di gomma e cinque candelotti fumogeni” per impedire ai migranti di raggiungere la Spagna, sparando verso la posizione in cui stavano nuotando, mentre erano inseguiti da una motovedetta marocchina. Nella stessa occasione, il ministro si è rammaricato per la morte delle 15 persone sulla spiaggia di Tarajal ma, come gli ha chiesto un deputato dell’opposizione, non si è scusato con le famiglie delle vittime in quanto capo della Guardia Civil.

      Il Segretario di Stato per la Sicurezza, Francisco Martínez, al Congresso, ha dichiarato che nessuno dei giovani che hanno raggiunto la riva spagnola è rimasto ferito e che la Guardia Civil ha sparato solo mentre erano ancora in acque marocchine, attenuando l’azione dal frangiflutti. Tuttavia, sono sorte delle domande: “Perché nessuno ha cercato di salvare le persone che stavano annegando? Perché non sono stati allertati i soccorsi marittimi e la Croce Rossa?“.

      Il governo del PP, attraverso il ministro, ha ufficializzato la sua versione dei fatti e ha respinto la richiesta di aprire una commissione d’inchiesta richiesta dall’opposizione, approfittando della maggioranza assoluta di cui godeva nel 2014. Ma le registrazioni e gli audio forniti delle comunicazioni tra gli agenti e il COS mettono in dubbio la versione di Martínez. In una delle comunicazioni, gli agenti hanno avvertito della presenza di migranti che nuotavano e hanno chiesto istruzioni: “Dobbiamo fermarli?“. Dalla centrale operativa hanno risposto con incertezza: “Non sono sicuro, almeno cerchiamo di fermarli dall’avanzare, si stanno dirigendo verso Ceuta“. La risposta è stata: “Non è possibile, hanno attraversato da dietro e l’unica opzione era catturarli o lasciarli proseguire“. Le contraddizioni del delegato del governo a Ceuta e del direttore della Guardia Civil sono venute alla luce, mettendo a nudo la leadership del Ministero degli Interni. Nessuno si è dimesso.

      Persino il presidente del governo della città autonoma, Juan Jesús Vivas, si è spinto a definire “miserabili” sul suo account Facebook le organizzazioni che hanno accusato direttamente le guardie civili di essere responsabili delle morti. L’Ong Caminando Fronteras ha pubblicato un rapporto che includeva i referti delle ferite e le testimonianze dei sopravvissuti, tutti sono concordi nell’affermare che i proiettili di gomma erano diretti contro i migranti. Dopo essere venuto a conoscenza del rapporto, Francisco Antonio González ha consigliato alle guardie civili di sporgere denuncia contro l’organizzazione.
      Il vescovo di Tangeri critica l’azione della Guardia Civil

      L’arcivescovo emerito di Tangeri, Santiago Agrelo, ha criticato le azioni della Guardia Civil durante gli eventi del 6 febbraio 2014 a il Tarajal. “Quel giorno, quei giovani non si sono gettati in acqua contro nessuno: cercavano solo un futuro migliore, al quale sicuramente avevano diritto almeno quanto me“. Ha sottolineato la responsabilità delle forze dell’ordine, affermando che “le forze dell’ordine del Regno di Spagna hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per impedire a quei giovani di raggiungere la spiaggia, un fatto che non solo è stato riconosciuto ma anche rivendicato: hanno fatto ciò che dovevano fare“.

      Nessuno si è assunto la responsabilità e nessuno sa chi abbia dato l’ordine di autorizzare gli agenti spagnoli ad agire sulla spiaggia di Tarajal. A distanza di dieci anni, nessuno a nome dello Stato spagnolo si è scusato con le famiglie delle vittime di quella fatidica mattina del febbraio 2014. La tomba 147 nel cimitero di Ceuta rimarrà in silenzio.

      La mattina di domenica 4 febbraio, la tomba di Roger Nana è stata resa dignitosa. L’associazione ELIN, la Coordinadora de Barrios e alcuni attivisti hanno dedicato un poster che è stato collocato sulla tomba di Nana. Dopo un breve funerale, Javier Baeza, presidente dell’organizzazione di Madrid, ha dedicato alcune parole di omaggio alle vittime. Le altre tombe sono già segnate come “persona non identificata 6 febbraio 2014“.

      https://www.meltingpot.org/2024/02/la-tomba-147-e-linstancabile-lotta-di-giustizia-per-la-strage-del-taraja

      #responsabilité

    • #Ceuta: di tutte le stragi, una Memoria Mediterranea

      A dieci anni dalla strage del Tarajal, in cui furono uccise almeno 14 persone nel tentativo di raggiungere la Spagna a nuoto, Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco, continua a essere tra le frontiere più violente del regime necropolitico europeo: il mare da un lato, la valla di concertina tagliente dall’altro, sistematicamente iper vigilati e militarizzati per impedire il transito delle persone verso l’Europa. Luogo di incessante approccio securitario, Ceuta, come Melilla, in territorio nordafricano, è da anni scenario di morte e negazione della vita umana, non solo delle persone che tentano di sfidarlo ma di tutte coloro che restano dall’altro lato in attesa di verità sui propri familiari.

      Sono trascorsi 10 anni di silenzio sul massacro del Tarajal, quando, all’alba del 6 febbraio 2014, la Guardia Civil spagnola sparava brutalmente centinaia di proiettili di gomma contro un gruppo di oltre 300 persone migranti di origine sub – sahariana provocandone la morte per annegamento e omettendo il loro soccorso e il recupero dei corpi. Decine di persone sono annegate davanti allo sguardo inerme delle guardie che ad oggi continuano impunemente a perpetrare violenza e repressione contro le persone migranti direttamente coinvolte e contro le famiglie a cui viene negato l’accesso per poter raggiungere l’Europa e cercarli.

      Le persone che tentano di varcare il confine al costo della propria vita, vengono sottoposte a ripetute umiliazioni e procedure di controllo, trattenimento e maltrattamento propedeutiche allo smistamento e alla loro espulsione, sorte di cui spesso le famiglie rimangono ignare e lontane dalle possibilità di richiesta per verità e giustizia dai territori di origine.

      Dal massacro, il governo spagnolo ha ripetutamente respinto la richiesta dei visti ai familiari delle persone disperse e il prelievo del DNA dai resti recuperati affinché procedessero con l’eventuale identificazione dei corpi, ignorando di fatto la loro richiesta di giustizia e verità.

      Infatti, il caso del 6 febbraio fu ripetutamente archiviato dalle responsabilità di una ennesima strage di Stato, riaperto successivamente e in corso di risoluzione, solo lo scorso giugno 2023, grazie alla pressione delle stesse persone sopravvissute e delle famiglie, alle avvocate e attiviste solidali che con loro sostengono la rivendicazione contro la negazione politica della vita e della morte.

      In accordo con il Marocco – da Rajoy e i successori fino all’attuale Sanchez – lo Stato spagnolo ribadisce da decenni il proprio compromesso sul controllo bilaterale della frontiera elogiando l’impegno sempre più mirato all’esternalizzazione della frontiera sul territorio marrocchino in un’ottica di governance migratoria, disattendendo i principi democratici e i diritti di libertà e dignità per la vita delle persone migranti, in fuga da altrettante situazioni di violenze ed abuso, spesso dipese dalla onerosa precarizzazione economica.

      In questo senso, la violenza di cui Ceuta si fa testimone, la medesima che interessa Melilla e la rotta canaria in Spagna o i luoghi in cui vige la procedura di frontiera sull’intero suolo europeo – da Lampedusa a Ventimiglia e lungo i Balcani – non è rappresentata da “ assalti” ed “invasioni” illegali come mediaticamente cerca di strumentalizzare la difesa politica, ma insita nella rimozione sistematica del diritto a partire, a circolare ed arrivare liberamente, alla possibilità per tutte e tutti di avere riconosciuta un’identità ante e post mortem, il diritto a sapere e al lutto.

      Accordi con paesi terzi come il Marocco, esattamente come accade tra Italia e Libia e Tunisia, ledono ogni diritto umano, in primis quello alla vita, abusata e fatta prigioniera dietro e dentro le mura di cinta, potenziate nel meccanismo di controllo e respingimento in mare, nei dispositivi detentivi e di sorveglianza dei centri per il rimpatrio (In Spagna C.I.E.), luoghi di trattenimento forzato e punitivo senza alcuna condanna, dove però non si spengono manifestazioni per la libertà e la liberazione dalle persone trattenute e recluse, in protesta anche in questi giorni dai vari centri in Italia a seguito del suicidio di Stato di Ousmane Sylla .

      La strage di Tarajal è l’espressione di quanto accade ogni giorno da anni in cui impunità, ingiustizia e violenza assumono le sembianze della lotta alla criminalità e alla sicurezza nazionale. Massacri senza giustizia, tombe senza nome, corpi senza volto, morti senza corpo, non sono che l’espressione ultima.

      Ma non l’unica.

      Alla Frontera Sur, una ‘Marcha por la Dignidad’, organizzata da centinaia di persone migranti, familiari, attivisti e diverse organizzazioni solidali, tra cui @Caravana Abriendo Fronteras e @CarovaneMigranti, continua da 10 anni a reclamare ed esigere verità e giustizia per tutte le persone morte nel massacro di Ceuta e per tutte coloro che muoiono e scompaiono per mano della indifferente violenza sistemica di un regime politico mortifero che vigila e reprime le persone migranti alle frontiere interne ed esternalizzate.

      Anche quest’anno la Marcha, partita dalla sede della Delegazione del Governo di Ceuta, ha raggiunto la spiaggia del Tarajal, dove la commemorazione diviene strumento di lotta non solo per ricordare il Tarajal ma per parlare di tutte le ennesime stragi che si ripetono. Quanto accaduto nel 2014 non è qualcosa di aneddotico ma rigorosamente sistematico, lo abbiamo visto a Melilla, a Nador, ad Ouija, in Tunisia, in Sicilia, a Cutro. Tante, troppe e ininterrotte stragi, in altrettante date del calendario, si verificano nel silenzio politico di turno.

      Ma la lotta per la Memoria viva è un riscatto mediterraneo che unisce la rabbia per trasformare il dolore in un grido collettivo per ogni Memoria negata e inabissata che vive attraverso chi può raccontare, dalle lotte familiari e collettive.

      A dieci anni dalla strage di Ceuta, per tutte le stragi invisibili di cui non si racconta, per ogni persona coinvolta in un massacro rimosso, continuiamo a tessere un’unica Memoria Mediterranea, quella praticata tutti i giorni come strumento di denuncia e di ricerca di giustizia, custode di dignità e resistenza.

      Non lasceremo il Mediterraneo agli abissi, ce ne impossessiamo senza timore per combattere dove si combatte, per elevare la voce dove si protesta, per piantare dove si cerca di seppellire.

      Tarajal, no olvidamos!

      https://memoriamediterranea.org/ceuta-di-tutte-le-stragi-una-memoria-mediterranea
      #mémoire_méditerranéenne

  • A scuola di antirazzismo

    Questo libro propone di partire dai bambini e dalle bambine per prendere consapevolezza di come i processi di razzializzazione siano pervasivi nella società italiana e si possa imparare molto presto a riflettere criticamente sulle diseguaglianze confrontandosi tra pari. Nasce da una ricerca-azione antirazzista che si è svolta nelle scuole primarie ed è rivolto in primis agli/alle insegnanti, per creare dei percorsi didattici che possano contrastare le diverse forme del razzismo (razzismo anti-nero, antisemitismo, antiziganismo, islamofobia, xenorazzismo e sinofobia).

    E’ un libro che offre ricchi e originali materiali di lavoro (tavole di fumetti e video-interviste a testimoni privilegiate/i) per promuovere dialoghi nei contesti educativi.

    volume 1 (pensé pour l’#école_primaire) :


    https://www.meltingpot.org/2021/09/antirazzismo-e-scuole-vol-1

    volume 2 (pensé pour l’#école_secondaire) :


    https://www.meltingpot.org/2023/11/antirazzismo-e-scuole-vol-2

    #anti-racisme #racisme #manuel #ressources_pédagogiques #livre #racialisation #pédagogie #didactique #parcours_didactique #racisme_anti-Noirs #antisémitisme #anti-tsiganisme #islamophobie #xénophobie #sinophobie #racisme_anti-Chinois #discriminations

    –-

    Note : la couverture du volume 2 avec mise en avant des #noms_de_rue (#toponymie)

  • Unisciti alla redazione della rubrica su detenzione amministrativa e C.P.R.
    https://www.meltingpot.org/2023/12/unisciti-alla-redazione-della-rubrica-su-detenzione-amministrativa-e-c-p

    Per unirti a noi e ricevere il link per collegarti scrivi una mail con una tua breve bio a collaborazioni@meltingpot.org. La detenzione amministrativa è divenuta ormai in molti paesi una pratica di controllo ordinaria. La sua normalizzazione ci impone un salto di qualità anche sul terreno dell’informazione. Per questo crediamo sia più che mai necessario unire energie, competenze e prospettive differenti per creare un terreno di ricerca comune e multidisciplinare. La detenzione amministrativa è infatti un complesso e articolato regime di deprivazione che mette in discussione le libertà di tuttə, su cui è importante ragionare in termini anche emotivi, (...)

  • Nel Mediterraneo non esistono stragi minori

    Mem.Med sul naufragio del 27 ottobre 2023 a #Marinella_di_Selinunte.

    Ahmed, Kousay, Bilel, Wael, Oussema, Souhé, Yassine, Sabrin, Fethi, Ridha, Yezin, Bilel, Mahdi questi sono i nomi di alcune delle persone scomparse a seguito del naufragio avvenuto a Marinella Selinunte in Sicilia (TP) il 27 ottobre 2023.
    Non numeri: erano circa 60 persone partite con un peschereccio da una spiaggia poco lontana da Mahdia, città costiera della Tunisia nord orientale. Sulla rotta per la Sicilia, verso Mazara, avevano viaggiato per alcuni giorni, uomini, donne e minori, tuttə di nazionalità tunisina. Poi, proprio poco prima di arrivare, il viaggio si è arrestato improvvisamente. Alcune persone sono riuscite a sopravvivere e a nuotare fino alla riva, altre hanno perso la vita, non soccorse in tempo, in una dinamica che ricorda molto quella che ha caratterizzato il massacro avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023.

    L’indagine è ancora in corso, i fatti non sono chiari ma, da quanto ricostruito, sembrerebbe che a poca distanza dalla riva della spiaggia di Marinella di Selinunte, il peschereccio si sarebbe incagliato in una secca e questo avrebbe provocato il ribaltamento dell’imbarcazione e il successivo annegamento di diverse persone cadute in acqua.

    Nei giorni successivi 6 corpi sono stati recuperati dalla capitaneria di Porto, dalla Guardia Costiera e dai Vigili del fuoco: 5 corpi rinvenuti sulla spiaggia di Marinella di Selinunte e 1 sulla spiaggia di Triscina. Le persone disperse sarebbero almeno 10. Perciò il totale delle persone rimaste uccise sono tra le 15 e le 20.

    Le persone sopravvissute, minori e adulte, sono le uniche a conoscere le dinamiche dell’evento: hanno visto i corpi dellə loro compagnə galleggiare a pochi metri dalla riva e hanno dichiarato che moltə di loro sono rimastə in acqua mentre i soccorsi hanno tardato ad arrivare.
    Nonostante fossero decine le persone disperse, le ricerche dei corpi si sono fermate tre giorni dopo il tragico evento. Le persone sopravvissute sono state ricollocate nei centri siciliani di Porto Empedocle, Milo e Castelvetrano o sono partite in autonomia verso altre mete europee.
    La ricerca di verità

    La procura di Marsala sta conducendo un’inchiesta sull’accaduto. I 6 corpi, tutti maschili, sono stati inizialmente trasferiti a Palermo e sottoposti ad autopsia, nonché a prelievo del DNA e a raccolta dei dati post mortem per l’eventuale identificazione. Dopodiché sono stati riportati a Castelvetrano, 5 sono stati collocati nell’obitorio dell’ospedale locale e 1 al cimitero.

    A pochi giorni dall’accaduto ci siamo recate nel luogo della strage dove, sulla spiaggia deserta e bagnata dalla pioggia, giaceva riverso su un fianco il peschereccio di legno tunisino, semi abbattuto dalla mareggiata.
    Sulla battigia, tutto intorno al relitto, giacevano i resti dell’imbarcazione in pezzi e decine di indumenti delle persone che viaggiavano su quel peschereccio, alcuni oggetti personali e cibo. Uno scenario di guerra. Una guerra senza indignazione, senza riflettori. Consumata nel silenzio assoluto rotto solo dalle onde del mare e dalla pioggia.
    Sappiamo che capita spesso che gli oggetti delle persone in viaggio finiscono in fondo al mare o restano perduti nella sabbia. Quasi sempre le autorità non predispongono la loro conservazione e spesso le famiglie o le comunità di appartenenza non sono in loco per poterli recuperare per tempo. Così quegli oggetti così preziosi si trasformano in pezzi di una memoria mossa via dalle onde.


    Diverse sono le famiglie che nel corso delle settimane passate ci hanno contattato per avere supporto nella ricerca dellə parenti ancora dispersə nella strage del 27.10.2023. Ancora una volta, in mancanza di un efficace sistema di raccolta delle richieste, a livello locale e internazionale, le famiglie sperimentano un non riconoscimento di quella violenza e una delegittimazione delle perdite e del lutto: non se ne parla mediaticamente, le grandi organizzazioni non si attivano, le istituzioni tardano a rispondere, nonostante le famiglie rivendichino con forza verità e giustizia.
    Anche in questa circostanza, i tempi necessari all’identificazione delle salme sono lunghi e incerti, proprio in ragione del fatto che non c’è un lavoro coordinato e le procedure sono frammentate tra più attori: Procura, Medicina legale, Polizia giudiziaria, Consolato tunisino.

    Tra le segnalazioni che ci sono arrivate ci sono quelle delle famiglie di Adem e Kousay, giovani rispettivamente di 20 e 16 anni, originari di Teboulba e Mahdia.

    Adem, Kousay e la lotta delle famiglie

    Qualche settimana fa, in una giornata di novembre, ci siamo recate a Teboulba nella casa tunisina della famiglia di Adem. Sedute in cerchio nel cortile, mentre calava il tramonto, abbiamo ripercorso i fatti dell’evento e abbiamo aggiornato le famiglie delle informazioni raccolte in Sicilia.
    A partecipare all’incontro non c’erano solo la madre, la sorella, il padre e i parenti prossimi di Adem, ma anche tutta la comunità di quartiere, che da settimane vive con angoscia e rabbia questa sparizione.

    Omaima, la sorella di Adem, era seduta al centro del cerchio e pronunciava i nomi delle persone disperse, contandole sulla punta delle dita, come in una preghiera ripetuta.
    Tante sono state le domande poste: Perché non sono stati soccorsi? Erano arrivati, erano a pochi metri da terra! Le autorità hanno continuato a cercarli? È possibile che ci voglia tanto tempo per sapere se Adem è tra quei corpi? Lo vogliamo indietro, lo vogliamo vedere, vogliamo sapere.

    La famiglia ci ha raccontato anche che le autorità tunisine hanno fatto pressione sui genitori dellə giovani accusandoli di essere responsabili del viaggio in mare. Uno dei familiari è stato più volte convocato presso gli uffici di polizia locali per difendersi da queste accuse. Non hanno trovato un colpevole tra i sopravvissuti allora incolpano noi! ha detto il padre di Adem.

    Non è la prima volta che questo accade. Il processo di criminalizzazione della migrazione dal sud al nord del Mediterraneo, se non può colpire i cosiddetti presunti scafisti tra coloro che sopravvivono, scarica sulle famiglie delle persone disperse responsabilità da cui queste sono chiamate a difendersi in un momento tanto violento come quello che caratterizza la scomparsa di unə familiare in mare.
    Sappiamo bene che il silenzio permea le conseguenze di queste necropolitiche che si muovono verso un indirizzo sempre più securitario nella gestione delle migrazioni: il nuovo Patto UE sulla Migrazione legittima abusi e respingimenti che renderanno ancora più mortali le frontiere. Le morti in aumento sono strumentalizzate ai fini di implementare politiche di maggior chiusura, condannando inoltre chi sopravvive alle frontiere a essere reclusə e detenutə e chi cerca di fare luce sulla violenza ad essere destinatariə di una repressione feroce.
    Non è normale morire in frontiera

    Il naufragio di Selinunte è uno di quelli che non destano attenzione, che non infiammano i programmi televisivi, che non fanno scalpore. Sono morte “solo” 6 persone e ci sono “solo” una decina di persone disperse. Non si parla di morte violenta o di strage, si è parlato di incidente: è un naufragio “minore”. Avvenuto nello stesso mese in cui si celebra la Giornata nazionale della memoria per non dimenticare le vittime della migrazione, questo evento – come moltissimi altri – non ha però goduto della stessa attenzione dei “grandi” naufragi e la sua visibilità è dipesa solo grazie al lavoro di alcune brave giornaliste.
    Eppure questa strage, come le altre, interpella responsabilità politiche e collettive: è avvenuta a poche centinaia di metri dalle coste siciliane, a causa della negazione del diritto a muoversi e per assenza di soccorso di persone in difficoltà che prendono la via del mare. Come è avvenuto anche pochi giorni fa al largo della Libia, dove hanno perso la vita almeno 61 persone.
    Come Cutro e Lampedusa, anche questa è una strage da ricordare, una strage che si somma a tante altre sconosciute o rimosse, che insieme fanno migliaia di vite barbaramente spezzate.

    La stessa indifferenza ha colpito le morti delle persone i cui corpi nelle ultime settimane hanno raggiunto l’Isola di Lampedusa, come ha raccontato l’associazione Maldusa che opera sull’isola. Tra il 10 e il 17 novembre sono stati almeno 4 i naufragi e almeno 4 le persone che risultano disperse. Il 20 novembre un altro naufragio ha causato la morte di almeno una bimba di 2 anni e altri dispersi. Il 22 novembre un’altra barca di ferro è naufragata provocando la morte di almeno una donna ivoriana di 26 anni.

    La lotta dellə sopravvissutə e dellə familiarə ci ricorda che non esistano naufragi o stragi “minori”. Con loro ci opponiamo all’idea di una gerarchia delle vite determinata da privilegi attribuiti arbitrariamente ma accettati e normalizzati dall’opinione pubblica.

    Adem, Kousay e le altre 20 persone disperse partite il 26 ottobre da Mahdia non ci sono più e forse non torneranno. Sono ancora in corso gli accertamenti per determinare l’identità delle salme e, attraverso l’esame del DNA, attestare con certezza se Adem e Kousay sono tra i cadaveri recuperati.
    Ci sono però i loro nomi, le loro storie e, soprattutto, c’è la lotta delle loro famiglie: la madre di Adem, di cui suo figlio porta inciso il nome nel tatuaggio sul petto. Il padre di Adem che deve difendersi dai tentativi di criminalizzazione.

    Voglio sapere se il corpo appartiene a mio fratello. E poi voglio che si faccia giustizia, ha detto la sorella Oumaima guardandoci negli occhi, prima che lasciassimo il cortile della loro casa di Teboulba. Il suo volto infervorato non ci ha lasciato dubbi:

    Il loro dolore e la loro rabbia non sono minori a nessuno.

    https://www.meltingpot.org/2023/12/nel-mediterraneo-non-esistono-stragi-minori
    #27_octobre_2023 #Italie #naufrage #décès #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #morts_en_mer #Sicile #identification #ceux_qui_restent #Selinunte

  • Imprigionata, respinta, violata, espulsa
    https://www.meltingpot.org/2023/12/imprigionata-respinta-violata-espulsa

    «Sono stata in viaggio verso l’Europa per sei anni e ora mi hanno espulsa. Non riuscirò mai a dirti come mi sento. Sto solo così male». Sono le parole di Leyla (nome di fantasia) che conosco da ormai più di un anno. Entrambe ci trovavamo nella frontiera tra Bosnia e Croazia; io come solidale, lei come persona in transito. Qualche mese fa mi racconta dell’ennesimo abuso del regime confinario, questa volta però proprio nel cuore della Fortezza Europa: l’espulsione dalla Svizzera e la deportazione in Croazia. Dopo che No Name Kitchen pubblica la sua testimonianza e grazie al suo instancabile

  • HERstory: all’origine era la coppia
    https://www.meltingpot.org/2023/12/herstory-allorigine-era-la-coppia

    Si ricercano nell’Islām le cause dei mali che affliggono alcune donne, piuttosto che nei musulmani stessi, e si tenta di far fronte a questi mali analizzando razionalmente tutti i versetti del Corano e tutte le norme giuridiche riguardanti il ‘mondo femminile’. La causa di questi mali è soltanto nella diffusa ignoranza sia da parte degli uomini che delle donne della propria tradizione di appartenenza, e solo un’autentica conoscenza di quest’ultima potrà permettere loro di inserirsi serenamente e armoniosamente in una società pluralista, nel mantenimento della propria identità religiosa. (Ferrero, I., 2003). Ad oggi, molti credono e affermano che l’Islam (...)

  • Nel Mediterraneo non esistono stragi minori
    https://www.meltingpot.org/2023/12/nel-mediterraneo-non-esistono-stragi-minori

    Ahmed, Kousay, Bilel, Wael, Oussema, Souhé, Yassine, Sabrin, Fethi, Ridha, Yezin, Bilel, Mahdi questi sono i nomi di alcune delle persone scomparse a seguito del naufragio avvenuto a Marinella Selinunte in Sicilia (TP) il 27 ottobre 2023.Non numeri: erano circa 60 persone partite con un peschereccio da una spiaggia poco lontana da Mahdia, città costiera della Tunisia nord orientale. Sulla rotta per la Sicilia, verso Mazara, avevano viaggiato per alcuni giorni, uomini, donne e minori, tuttə di nazionalità tunisina. Poi, proprio poco prima di arrivare, il viaggio si è arrestato improvvisamente. Alcune persone sono riuscite a sopravvivere e a (...)

  • Decisione della CEDU contro l’Italia: a Restinco minori stranieri non accompagnati in condizioni inumane e degradanti
    https://www.meltingpot.org/2023/12/decisione-della-cedu-contro-litalia-a-restinco-minori-stranieri-non-acco

    Un’altra importante decisione ottenuta dai soci e dalla socie dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI). Di seguito la vicenda e il loro commento. Si aggiunge alla lunga serie di sentenze della Corte Europea per i Diritti Umani e le Libertà Fondamentali contro l’Italia, la decisione cautelare del 19.12.2023 con la quale il Giudice di Strasburgo ha ordinato al Governo italiano di trasferire un minore di 15 anni trattenuto dall’inizio di ottobre nel centro di Restinco in provincia di Brindisi, in un adeguato centro per minori non accompagnati. La Corte ha specificato che tale nuovo centro dovrà garantire al minore i diritti sino ad (...)

  • Ero Straniero analizza tutti i limiti del Decreto flussi
    https://www.meltingpot.org/2023/12/ero-straniero-analizza-tutti-i-limiti-del-decreto-flussi

    La campagna Ero straniero mercoledì 20 dicembre alla sala del Senato ha presentato il dossier “La lotteria dell’ingresso per lavoro in Italia: i veri numeri del decreto flussi“. L’approfondita analisi dell’impatto degli interventi normativi in materia di ingressi per lavoro, evidenzia tutti i limiti di un sistema definito «rigido e inefficace». Nel corso della conferenza per Ero Straniero sono intervenuti Giulia Gori (Fcei), Giulia Capitani (Oxfam), Fabrizio Coresi (ActionAid) e Francesco Mason (Asgi), ai quali si sono aggiunte le testimonianze di Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, e Laura Hardeep Kaur, segretaria generale Flai Cgil Frosinone Latina. La lotteria del (...)

  • Permesso per residenza elettiva: illegittimo il rigetto della Questura
    https://www.meltingpot.org/2023/12/permesso-per-residenza-elettiva-illegittimo-il-rigetto-della-questura

    Il T.A.R. Milano annulla il provvedimento della Questura che aveva rigettato il permesso per residenza elettiva unicamente motivando di non avere preventivamente ottenuto il visto per residenza elettiva. La vicenda è di una cittadina straniera che aveva presentato domanda di regolarizzazione ex art. 103, comma 1, d.l. 34/20 e che, nelle lungaggini dell’iter amministrativo, si era trovata “bloccata” da una procedura infinita. Ravvedendone i requisiti le avevo consigliato il permesso per residenza elettiva, proprio a partire dalla sua regolarità di soggiorno dovuta alla ricevuta della regolarizzazione; da lì la battaglia con la Questura di Milano e da ultimo con (...)

  • Il Nuovo Patto UE sulla Migrazione legalizza gli abusi alla frontiera e causerà più morti in mare
    https://www.meltingpot.org/2023/12/il-nuovo-patto-ue-sulla-migrazione-legalizza-gli-abusi-alla-frontiera-e-

    Un comunicato congiunto di Maldusa, MEDITERRANEA Saving Humans, ProActiva Open Arms, ResQ – People Saving People, Salvamento Marítimo Humanitario, Sea-Eye e. V., Sea-Watch e. V., SOS Humanity e. V., Watch the Med – Alarm Phone. L’esito dei negoziati sul Nuovo Patto sulla Migrazione legittima lo status quo alle frontiere esterne dell’Unione Europea in cui violenza e respingimenti sono pratiche quotidiane. In questi anni abbiamo assistito a politiche dell’Unione Europea che impedivano alle persone in pericolo in mare di raggiungere un luogo sicuro, ignorandole e facilitando il loro respingimento forzato in Libia e Tunisia, o ancora impedendo attivamente il loro (...)

  • Diniego della protezione speciale: disposta la sospensiva e il rilascio di un permesso di soggiorno provvisorio per richiesta asilo
    https://www.meltingpot.org/2023/12/diniego-della-protezione-speciale-disposta-la-sospensiva-e-il-rilascio-d

    Un decreto di fissazione udienza ex art. 281 decies CPC inerente il ricorso presentato avverso il diniego della protezione speciale ex art. 19 TU. Il decreto è rilevante nella parte in cui dispone la sospensiva del suddetto decreto di rifiuto ed il rilascio di un permesso provvisorio: il giudice ha bene motivato il perché della decisione ed addirittura suggerito il passo successivo ad un eventuale rifiuto da parte della Questura. Nello specifico: “ritenuto che sussistano le gravi e circostanziate ragioni per disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato in considerazione dell’allegata e documentata integrazione sociale e lavorativa della (...)

  • Serbia. Una storia di sistematica violenza
    https://www.meltingpot.org/2023/12/serbia-una-storia-di-sistematica-violenza

    di Lucia Bertani È una mattina come tante, fatta di profumo di fiori del giardino, caffè caldo e raccolta in ampie valigie di vestiti di vario genere, di raccolta dell’acqua nelle taniche del van e di preparazione dei kit igienici. Le mattine a Subotica non sono assopite, ci si muove velocemente e in simultanea, ognuno sapendo cosa deve fare. Sono in Serbia, al confine con l’Ungheria, da nove giorni. Mi trovo sul campo con No Name Kitchen, organizzazione non governativa, un movimento indipendente che si trova lungo i Balcani per promuovere aiuti umanitari e azioni politiche. Ogni giorno della settimana,

  • Sui confini d’Europa. Storie di frontiere e di resistenze
    https://www.meltingpot.org/2023/12/sui-confini-deuropa-storie-di-frontiere-e-di-resistenze

    In quindici saggi di studiosi, giornalisti e attivisti il volume traccia, a partire dal Mediterraneo, un quadro completo delle frontiere che separano l’Europa dall’Africa e dall’Asia, delle strategie di attraversamento e delle pratiche di esclusione. L’obiettivo del volume è di descrivere i meccanismi di funzionamento dei dispositivi di soggettivazione dei corpi, di inclusione differenziale e/o di esclusione, ma anche le forme di resistenza, raccontate attraverso le voci delle persone migranti. Il volume ha un approccio transdisciplinare ed intersezionale nel senso che mette in dialogo autrici e autori con un diverso posizionamento: alcune sono accademiche e accademici; altri lavorano nel (...)

  • Protezione speciale allo studente del Marocco costretto a lasciare l’Ucraina in seguito allo scoppio del conflitto
    https://www.meltingpot.org/2023/12/protezione-speciale-allo-studente-del-marocco-costretto-a-lasciare-lucra

    Una interessante sentenza ex art. 281 terdecies e 275 bis cpc emessa dal Tribunale di Bologna nei confronti di uno studente del Marocco il quale viveva e studiava in Ucraina per anni prima di fuggire dal paese a causa dello scoppio del noto conflitto. Appena arrivato sul territorio nazionale non ha potuto presentare domanda di protezione temporanea in quanto non rientrava nelle categorie ammesse, avendo un permesso di soggiorno provvisorio in Ucraina per motivi di studio, e pertanto ha presentato domanda di protezione speciale ex art. 19 co. 1.2. TUI la quale è stata rigettata dalla locale Questura a (...)

  • CPR: funzionamento e violazione dei diritti fondamentali
    https://www.meltingpot.org/2023/12/cpr-funzionamento-e-violazione-dei-diritti-fondamentali

    Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi.Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. Università degli Studi di MilanoFacoltà di Scienze Politiche, economiche e socialiCorso di laurea in scienze internazionali ed istituzioni europee La detenzione amministrativa dei migrantiCPR: funzionamento e violazione dei diritti fondamentali di Serena Sabino (Anno accademico 2022/2023) Introduzione La scelta del tema del presente elaborato proviene dalla volontà di affrontare un argomento di cui pochi sono a conoscenza o spesso ignorato da chi, invece, qualcosa ne sa. Crescendo, mi sono resa conto dell’abilità dell’essere (...)

  • Assegno sociale: illegittima la sua sospensione e la richiesta dell’INPS di restituzione degli importi
    https://www.meltingpot.org/2023/12/assegno-sociale-illegittima-la-sua-sospensione-e-la-richiesta-dellinps-d

    Un caso molto complesso deciso dalla Corte di Appello di Bari, Sezione lavoro: la ricorrente, con ricorso ex art. 414 c.p.c., conveniva in giudizio l’INPS e la Sede Provinciale di Bari al fine di ottenere dal Tribunale di Bari una pronuncia sulle seguenti conclusioni: In particolare, la ricorrente deduceva: Con sentenza n. 1310/2021 del 28.04.2021 il Tribunale di Bari in funzione di Giudice del Lavoro aveva accolto parzialmente il ricorso “nei limiti indicati in parte motiva e, accertata l’insussistenza dell’indebito di cui alla comunicazione INPS del 31.05.2016 per l’importo di € 13.068,42, dichiara la ricorrente non tenuta alla restituzione (...)

  • Rovesciare l’ipocrisia del sistema di #Accoglienza
    https://www.meltingpot.org/2023/12/rovesciare-lipocrisia-del-sistema-di-accoglienza

    Il presente comunicato è scritto dallə attivistə delle scuole di italiano e degli sportelli di supporto legale degli spazi sociali del Nord-Est. Come tali, ci riconosciamo nei valori e nelle pratiche dell’antirazzismo, antisessismo e antifascismo. Siamo una rete di realtà autogestite che operano in diversi territori e sono attive da molti anni. Muovendo da questi principi, portiamo avanti le nostre attività nel tentativo di formare spazi di comunità nuovi e aperti. Il nostro agire vede la lingua come strumento di emancipazione, autodeterminazione e autorealizzazione, necessario e imprescindibile. L’insegnamento della lingua italiana non deve essere garantito in modo elitario e (...)

    #Comunicati_stampa_e_appelli #A_proposito_di_Accoglienza #Corsi_di_lingua_italiana #Iscrizione_anagrafica #Italia #Razzismo_e_discriminazioni #Solidarietà_e_attivismo

  • #Padova. L’appello-denuncia sul centro d’accoglienza temporaneo all’ex aeroporto Allegri
    https://www.meltingpot.org/2023/12/padova-lappello-denuncia-sul-centro-daccoglienza-temporaneo-allex-aeropo

    A settembre scorso la Prefettura di Padova ha allestito un centro temporaneo di prima #Accoglienza di persone migranti, per sopperire alla carenza di posti letto nei CAS locali. Il luogo scelto è l’Aeroporto Allegri, dove le persone sono alloggiate in container da quattro persone ciascuno (6x3x2.8 metri quadri). Inoltre, vi è un modulo separato per la mensa e uno per il bagno. Inizialmente, la Prefettura aveva chiesto alla Croce Rossa la disponibilità ad essere l’ente gestore. In seguito alla risposta negativa della CRI, che si è resa disponibile solo ad effettuare gli screening sanitari, la gestione è attualmente in (...)

    #Comunicati_stampa_e_appelli #Notizie #A_proposito_di_Accoglienza #Decreto_Piantedosi #DL_10_marzo_2023,n._20_Decreto_Cutro #Italia #Minori_e_Minori_Stranieri_Non_Accompagnati #Solidarietà_e_attivismo #Veneto

  • La vergogna trentina: centinaia di richiedenti asilo fuori accoglienza
    https://www.meltingpot.org/2023/12/la-vergogna-trentina-centinaia-di-richiedenti-asilo-fuori-accoglienza

    Un quadro allarmante effetto sia di politiche provinciali razziste e discriminatorie, e sia di prassi illegittime della Questura e arbitrarie del Commissariato del Governo. Le realtà sociali di Trento, insieme ad alcune persone costrette a vivere in strada, sono tornate a chiedere il rispetto dei diritti e risposte immediate alle istituzionali locali. N. è arrivato in Trentino 8 mesi fa, dopo aver percorso il duro tragitto della cosiddetta rotta balcanica. E’ passato da Trieste e da altre città del nordest e poi ha deciso di fermarsi a Trento, dove ha cercato di presentare richiesta di asilo: alcuni suoi connazionali (...)