• Native American children endured years of sexual abuse at boarding schools - ‘In the name of God’
    https://www.washingtonpost.com/investigations/interactive/2024/sexual-abuse-native-american-boarding-schools/?itid=hp-top-table-main_p001_f001

    These firsthand accounts and other evidence documented by The Washington Post reveal the brutality and sexual abuse inflicted upon children who were taken from their families under a systematic effort by the federal government to destroy Native American culture, assimilate children into White society and seize tribal lands.

    From 1819 to 1969, tens of thousands of children were sent to more than 500 boarding schools across the country, the majority run or funded by the U.S. government. Children were stripped of their names, their long hair was cut, and they were beaten for speaking their languages, leaving deep emotional scars on Native American families and communities. By 1900, 1 out of 5 Native American school-age children attended a boarding school. At least 80 of the schools were operated by the Catholic Church or its religious affiliates.

    The Post investigation reveals a portrait of pervasive sexual abuse endured by Native American children at Catholic-run schools in remote regions of the Midwest and Pacific Northwest, including Alaska.

    At least 122 priests, sisters and brothers assigned to 22 boarding schools since the 1890s were later accused of sexually abusing Native American children under their care, The Post found. Most of the documented abuse occurred in the 1950s and 1960s and involved more than 1,000 children.

  • Zucchero negli alimenti. Per #Nestlé i bambini non sono tutti uguali

    Secondo un’analisi della Ong Public Eye gli alimenti per bambini e neonati venduti dalla multinazionale svizzera in Africa, Asia e America Latina contengono più zuccheri rispetto alle loro controparti commercializzate nei mercati europei. Un doppio standard che porta a un “aumento esplosivo dell’obesità e spinge i bambini a sviluppare una preferenza per i prodotti zuccherati che durerà tutta la vita”.

    Due dei prodotti alimentari per l’infanzia più venduti da Nestlé nei Paesi a medio o basso reddito contengono, a differenza delle loro controparti reperibili in Europa e in Svizzera, dosi elevate di zuccheri aggiunti. Sono i risultati di un’indagine svolta dalla Ong svizzera Public Eye con la collaborazione dell’International baby food action network (Ibfan), rete di organizzazioni per la salute infantile. “Chiediamo all’azienda di porre fine a questo ingiustificabile e dannoso doppio standard che porta a un aumento esplosivo dell’obesità e spinge i bambini a sviluppare una preferenza per i prodotti zuccherati che durerà tutta la vita”, denuncia la coalizione.

    A cinquant’anni dallo scandalo sulla promozione di prodotti per l’infanzia nei Paesi a basso reddito che ha coinvolto Nestlé, il gigante svizzero afferma di aver imparato dal passato e proclama il suo “impegno incrollabile” nella “commercializzazione responsabile” dei sostituti del latte materno. Attualmente l’azienda controlla il 20% del mercato degli alimenti per l’infanzia, per un valore di circa 70 miliardi di dollari.

    I due prodotti di punta nei Paesi a medio e basso reddito al centro dell’inchiesta sono Cerelac, una linea di cereali per l’infanzia, e Nido, un tipo di latte in polvere. Secondo dati esclusivi ottenuti da Euromonitor, una società di analisi di mercato specializzata nell’industria alimentare, il loro valore di vendita è stato superiore a 2,5 miliardi di dollari nel 2022. “Nelle proprie comunicazioni o tramite terzi, Nestlé promuove Cerelac e Nido come marchi il cui obiettivo è aiutare i bambini a ‘vivere una vita più sana’. Fortificati con vitamine, minerali e altri micronutrienti, secondo la multinazionale questi prodotti sono adatti alle esigenze dei neonati e dei bambini piccoli e contribuiscono a rafforzare la loro crescita, il loro sistema immunitario e il loro sviluppo cognitivo -si legge nella ricerca-. Ma questi cereali e latti in polvere offrono davvero ‘la migliore nutrizione’, come sostiene Nestlé? È quello che abbiamo cercato di scoprire concentrandoci su uno dei principali ‘pericoli pubblici’ quando si parla di alimentazione: lo zucchero”.

    L’indagine ha svelato una differenza importante e non giustificata tra la quantità di zucchero addizionato in questi prodotti nei diversi Paesi in cui sono venduti. Se gli alimenti per l’infanzia distribuiti in Svizzera e nel mercato europeo non contengono zuccheri aggiunti, quelli disponibili nei Paesi a medio e basso reddito ne hanno invece in quantità elevata, nonostante siano indicati come adatti a bambini dai sei mesi d’età. Su un totale di 115 prodotti della linea Cerelac venduti nei mercati di Africa, Asia e America Latina, il 94% (108) presentano zuccheri aggiunti. Inoltre, per 67 di questi alimenti è stato possibile determinarne il valore esatto, tramite etichetta o analisi di laboratorio.

    Si è scoperto quindi che in India, dove le vendite hanno superato i 250 milioni di dollari nel 2022, tutti i cereali per bambini Cerelac contengono zuccheri aggiunti, in media quasi tre grammi per porzione. La stessa situazione prevale in Sudafrica, il principale mercato per Nestlé in Africa, dove ogni alimento esaminato di questa linea ha quattro o più grammi di zuccheri aggiunti per porzione. In Brasile, il secondo mercato mondiale con un fatturato di circa 150 milioni di dollari nel 2022, tre quarti dei cereali per bambini di questa linea contengono zuccheri addizionali, in media tre grammi a porzione.

    “È un fatto preoccupante -ha fatto notare Rodrigo Vianna, epidemiologo e professore presso il dipartimento di Nutrizione dell’Università federale di Paraíba nel Brasile Nord-orientale, commentando i risultati della ricerca-, lo zucchero non dovrebbe essere aggiunto agli alimenti dedicati ai neonati e ai bambini piccoli perché non è necessario e crea una forte dipendenza. I bambini si abituano al sapore dolce e iniziano a cercare altri alimenti dolci, innescando un ciclo negativo che aumenta il rischio di disturbi legati all’alimentazione nella vita adulta, tra cui l’obesità e altre malattie croniche non trasmissibili come il diabete o l’ipertensione”.

    Una tendenza che, anche se in forma ridotta, si ritrova in Nido, il più popolare dei latti per la crescita. Secondo Euromonitor, nel 2022 le vendite globali dei prodotti Nido per bambini da uno a tre anni avrebbero superato quota un miliardo di dollari. Su 29 confezioni esaminate ben 21 contenevano zuccheri aggiunti, i valori più alti sono stati riscontrati a Panama (5,3 grammi) e in Nicaragua (4,7 grammi).

    Sebbene la multinazionale si sia affrettata a sottolineare che questi prodotti sono senza saccarosio aggiunto, essi contengono zucchero addizionale sotto forma di miele. Tuttavia, secondo l’Oms entrambe le sostanze non dovrebbero essere inserite negli alimenti per bambini. Ed è, paradossalmente, proprio la stessa Nestlé a spiegarlo con precisione in un quiz educativo sul sito web dedicato a Nido in Sudafrica: “sostituire il saccarosio con il miele non ha ‘alcun beneficio scientifico per la salute’, in quanto entrambi possono contribuire ‘all’aumento di peso ed eventualmente all’obesità’”.

    Eppure, il colosso svizzero sta promuovendo questi alimenti attraverso un’aggressiva campagna di marketing sia con mezzi “tradizionali”, come cartelloni e spot televisivi, sia tramite campagne sui social media e influencer. Dove, come già accennato, questi prodotti vengono presentati come salutari e benefici per lo sviluppo del bambino. “Spesso le indicazioni sulla salute dei produttori non sono supportate dalla scienza. Se un prodotto farmaceutico volesse affermare di migliorare lo sviluppo cerebrale dei bambini o la loro crescita -ha detto Nigel Rollins, ricercatore presso il dipartimento di Salute materna, neonatale, infantile e dell’adolescenza all’Oms-, dovrebbe superare standard di evidenza molto elevati. Ma trattandosi di un alimento, non è necessario effettuare questi test“.

    Nestlé non ha risposto a domande specifiche ma ha dichiarato a Public Eye e all’Ibfan di aver “ridotto dell’11% la quantità totale di zuccheri aggiunti nel proprio portafoglio di cereali per l’infanzia in tutto il mondo” negli ultimi dieci anni e che “diminuirà ulteriormente il livello di zuccheri senza compromettere la qualità, la sicurezza e il gusto”. La multinazionale ha inoltre comunicato che starebbe eliminando gradualmente il saccarosio e lo sciroppo di glucosio dai suoi “latti per la crescita” Nido a livello globale. L’azienda ha ribadito, inoltre, che i suoi prodotti sono “pienamente conformi” alle leggi locali e al Codex alimentarius. Quest’ultimo è un elenco di norme e standard alimentari internazionali che, sempre secondo Rollins, sono stati pesantemente influenzati dalle lobby dello zucchero e dell’alimentazione, rendendo le linee guida per i cibi per l’infanzia non allineate alle raccomandazioni dell’Oms. “Le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità sono indipendenti da qualsiasi influenza dell’industria -ha dichiarato Rollins-. Al Codex, invece, le lobby sono attive e influenti: l’industria dello zucchero, quella degli alimenti per l’infanzia e altri rappresentanti del settore alimentare sono spesso presenti nelle stanze in cui vengono prese le decisioni”.

    https://altreconomia.it/zucchero-negli-alimenti-per-nestle-i-bambini-non-sono-tutti-uguali
    #sucre #industrie_alimentaire #enfants #enfance #inégalités #double_standard #Cerelac #Nido #lait_en_poudre #multinationales

    • How Nestlé gets children hooked on sugar in lower-income countries

      Nestlé’s leading baby-food brands, promoted in low- and middle-income countries as healthy and key to supporting young children’s development, contain high levels of added sugar. In Switzerland, where Nestlé is headquartered, such products are sold with no added sugar. These are the main findings of a new investigation by Public Eye and the International Baby Food Action Network (IBFAN), which shed light on Nestlé’s hypocrisy and the deceptive marketing strategies deployed by the Swiss food giant.

      https://stories.publiceye.ch/nestle-babies

  • Les rues aux écoles font baisser la #pollution de l’air jusqu’à 30% en moyenne
    https://carfree.fr/index.php/2024/05/28/les-rues-aux-ecoles-font-baisser-la-pollution-de-lair-jusqua-30-en-moyenne

    Les associations Respire et Airgones publient la première étude d’évaluation de dix aménagements de rues aux écoles (piétonisation aux abords de l’école qui peut s’accompagner de l’arrêt du trafic routier Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Marche_à_pied #Pollution_automobile #Vélo #boulogne-billancourt #clamart #Colombes #école #enfants #montreuil #paris #santé

  • Il n’y a aucun endroit sûr où aller pour les 600 000 #enfants de #Rafah, avertit l’UNICEF - UNICEF
    https://www.unicef.fr/article/il-ny-a-aucun-endroit-sur-ou-aller-pour-les-600-000-enfants-de-rafah-avertit-

    Après l’ordre d’évacuation donné en octobre de se déplacer vers le sud, on estime qu’il y a maintenant environ 1,2 million de personnes réfugiées à Rafah, qui abritait autrefois environ 250 000 personnes environ. Par conséquent, Rafah (20 000 habitants au km2) est presque deux fois plus densément peuplée que la ville de New York (11 300 habitants au km2), avec près de la moitié de la population constituée d’enfants, dont beaucoup ont été déplacés à plusieurs reprises et s’abritent dans des tentes ou des logements précaires et instables.

    En raison de la concentration élevée d’enfants à Rafah, parmi lesquels beaucoup sont extrêmement vulnérables et au seuil de la survie, ainsi que de l’ampleur prévisible des violences, avec des couloirs d’évacuation potentiellement minés ou parsemés de munitions non explosées, et les installations et services dans les zones de relogement étant limités, l’UNICEF lance un avertissement concernant une nouvelle catastrophe imminente pour les enfants.

    Les opérations militaires risquent d’entraîner un nombre considérable de victimes civiles et de provoquer la destruction totale des services et infrastructures de base dont ils dépendent encore pour leur survie.

    #gaza

  • « Certes, l’on initie à l’école maternelle l’enfant à son rôle d’élève, mais cela ne doit pas se faire en oubliant les visées de socialisation au jugement individuel et critique » | entretien avec #Ghislain_Leroy
    https://publications-prairial.fr/diversite/index.php?id=4344

    Du côté de l’#école #maternelle, j’ai pu montrer à ce titre de profondes évolutions curriculaires. Durant la période allant des années 1970 à nos jours, les objectifs de lire-écrire-compter gagnent très largement du terrain, qu’il s’agisse d’aborder ces apprentissages directement ou indirectement (par exemple, par la phonologie). Cela s’effectue au détriment d’autres objectifs, qui étaient jadis hautement légitimes, tels que le « vivre ensemble » ou encore « l’affectivité » (je reprends des catégories de textes officiels anciens de l’école maternelle). Dans mon ouvrage L’école maternelle de la performance enfantine, je montre que ces évolutions du #curriculum formel ont changé les pratiques effectives. Elles sont parfois plus scolarisantes encore que les pratiques prescrites par le curriculum officiel ; par exemple, quand on insère systématiquement des objectifs d’écriture (comme le graphisme) dans les activités d’arts plastiques, alors même que ce n’est pas demandé par les textes officiels les plus scolarisants, comme ceux de 2008. Les enseignants apparaissent alors, en un sens, plus royalistes que le roi ! C’est qu’ils ont intégré l’importance de la demande de « fondamentaux ».

    Deuxièmement, le curriculum n’est pas lié qu’à une priorisation de certains objectifs en termes de disciplines scolaires. Il valorise aussi certains comportements et en dévalorise d’autres. Cherche-t-on à ce que l’enfant fasse ce que l’adulte veut ? Qu’il soit concentré ? Qu’il obéisse ? Qu’il fasse preuve de créativité ? Qu’il s’affirme ? L’évolution scolarisante de l’école maternelle que j’ai évoquée ci-avant va aussi dans le sens d’attentes disciplinaires [comportementales] plus importantes entre 3 et 6 ans. Dans les années 1970, on cherchait à ce que l’enfant s’individualise par des expérimentations personnelles et propres. On valorisait aussi la figure d’un adulte attentif aux soins affectifs envers l’enfant. Dans les pratiques, les choses furent très variées, et ces objectifs éducatifs furent loin d’être mis en œuvre partout, mais c’est une tendance de l’époque.

    RG : Quels sont les effets ou les conséquences de cette évolution ?

    GL : Parce que l’on attend plus de résultats scolaires de l’école maternelle, on attend des #enfants plus précocement « #élèves » et la relation de #soins affectifs a très largement, du même coup, perdu en légitimité (il faut donner à voir l’image d’une école maternelle « école »). Cela pose parfois la question d’une maternelle contemporaine n’hésitant pas à être brutale dans la relation à l’enfant ; j’ai pu documenter des situations de #maltraitance_éducative, liée au climat de fortes attentes de résultats scolaires. Dans ce contexte, j’analyse dans plusieurs productions récentes le succès actuel de la notion d’#autonomie comme le signe d’une valorisation non plus d’un enfant simplement obéissant, mais d’un enfant appliquant de lui-même, avec zèle et enthousiasme, ce que l’on attend de lui. Il est particulièrement rallié au projet éducatif que l’on a pour lui, et l’idée d’un hiatus entre ce que l’on veut pour lui, et ce qu’il veut, s’évanouit. C’est surtout frappant dans certaines approches #Montessori qui doivent donc être analysées dans leurs dimensions disciplinaires latentes. Nombre d’acteurs éducatifs contemporains (#enseignants, mais aussi parents) n’envisagent plus que l’enfant puisse ne pas adhérer, en tant qu’individu, au projet éducatif que l’on forge pour lui. J’estime qu’il revient au sociologue de l’enfance d’exercer une vigilance critique vis-à-vis de ce type de « définitions sociales de l’enfant » actuellement en croissance, pour reprendre l’expression de Chamboredon.

    [...]

    RG : Vers quoi devrait, selon vous, tendre le curriculum de l’école maternelle dans le contexte actuel ?

    GL : Je reste assez convaincu que l’école maternelle devrait dialoguer davantage avec d’autres institutions préscolaires, dites « holistiques », qui se fixent des objectifs de développement de l’enfant qui ne sont pas que scolaires. Il ne s’agit évidemment pas pour autant de mettre de côté les objectifs de réduction des inégalités socioscolaires, mais de considérer que le suivi d’objectifs préparatoires à la suite de la scolarité et d’objectifs de développement plus globaux (que l’on peut éventuellement nommer socio-émotionnels) sont probablement plus complémentaires qu’opposés. Je ne souscris pas à l’idée selon laquelle la surscolarisation de l’école maternelle serait un remède à la lutte contre les inégalités sociales. Je crois à ce que je nomme une « professionnalité complexe » à l’école maternelle, capable d’être exigeante sur les ambitions d’apprentissages scolaires (en particulier pour les enfants ayant peu de dispositions scolaires), tout en étant capable de saisir également les vertus de moments moins directifs ; d’apprendre, progressivement, aux enfants à devenir des élèves, tout en étant sensible à leur développement socio-émotionnel plus général. Le lien adulte/enfant à l’école maternelle ne saurait se réduire à la relation enseignant/élève ; cela me paraît un appauvrissement considérable de ce que cette relation à l’enfant est, ou peut être, en réalité.

    Enfin, pour ajouter encore une strate à cette « professionnalité complexe » que j’appelle de mes vœux, j’aurais aussi tendance à dire qu’il serait nécessaire d’être à la fois capable de socialiser l’enfant avec les objectifs curriculaires actuels, mais aussi de lui apprendre, en un sens, à endosser de réelles postures critiques et personnelles. Je regrette à ce titre que les activités de « débats » par exemple (prônées notamment dans les programmes de l’école maternelle de 2002) se fassent plus rares. Certes, l’on initie à l’école maternelle l’enfant à son rôle d’élève, mais cela ne doit pas se faire en oubliant les visées de socialisation avec le jugement individuel et critique ; voilà une manière d’atteindre l’« autonomie » qui est probablement différente de l’usage aujourd’hui tout à fait galvaudé de cette notion évoquée plus haut. Mais peut-être que dire cela est de plus en plus subversif politiquement (alors que c’était une vision assez ordinaire il n’y a pas si longtemps), dans un contexte où, en réalité, on attend de plus en plus de normalisation précoce des enfants, c’est-à-dire de #disciplinarisation (projet social qui me semble au demeurant progresser bien au-delà des attentes envers l’enfance). Souhaite-t-on encore réellement que l’enfant soit socialisé à avoir de l’initiative personnelle ?

    #éducation

    • J’ajouterais deux éléments qui expliqueraient cette focalisation sur le « devenir élève » et les « apprentissages fondamentaux » en maternelle, en plus de la source institutionnelle directe du curriculum décrite par Ghislain Leroy (qui est prépondérante).

      Le premier c’est les évaluations nationales. Même si on y est opposé, tout le monde s’y est habitué, et sans qu’on y fasse trop attention l’école se met à tourner autour de ça. Les évaluations de début de CP en particulier sont très violentes pour les enfants, notamment parce qu’on les évalue sur beaucoup de choses, y compris des notions qu’ils n’ont jamais vues (parce qu’à mi-CP et début de CE1 on réévalue pour voir la progression). Les résultats sont compilés, des moyennes d’écoles sont faites à différents niveaux spatiaux, puis l’école élémentaire se réunit avec la maternelle du secteur pour en parler, c’est-à-dire parler des exercices où la note est en-dessous de la moyenne et fait salement ressortir l’école. C’est la maternelle qui est responsable des résultats de début de CP, et ici tu peux être sûr d’être à tous les coups perdants : si les résultats sont bons, on te sucre des moyens ; s’ils sont mauvais, on viendra te donner des leçons parce que ta pédagogie est nulle. Bref, pour ne pas être classé dans les écoles ou les profs nuls, tu as intérêt à ce que tes élèves aient des bons résultats en début de CP, donc à les préparer à la myriade de trucs que les évals demandent. Ce souci de réussir aux évals, c’est aussi bien sûr dans l’intérêt des élèves, parce que tu sais qu’à 15 jours de la rentrée, ils se tapent une semaine d’éval, et que ça ira mieux pour eux s’ils savent faire.

      En plus de ça, bien sûr, ces évaluations mettent en lumière les « attendus de fin de cycle », c’est-à-dire les compétences listées dans les programmes censées être acquises en fin de maternelle. Si les programmes disent bien que chacun apprend à son rythme, tu ne peux pas échapper à la nécessité de ces attendus si dès la rentrée de CP il y a l’éval. Ca sert vraiment à mettre la pression à tout le monde, ça dit : si tu ne travailles pas correctement en maternelle, tu vas le payer (et ça le dit à tout le monde, aux profs, aux enfants et aux parents).

      Le deuxième élément c’est une certaine évolution de notre identité professionnelle en contexte de crise du métier. Notre métier est sur la pente descendante (et ça ne va pas s’arranger), le salaire baisse par rapport à ce qu’il était, les conditions de travail sont plus difficiles, il y a pénurie de candidats, hausse des démissions, concurrence du privé, recours plus important aux contractuels embauchés en quelques minutes, etc. Notre fierté alors, c’est les « apprentissages », « faire entrer les élèves dans les apprentissages ». C’est ça qui nous distingue des autres professionnels de la petite enfance, c’est ça qu’on peut mettre en avant pour montrer notre importance dans le système, c’est ce qui prouve nos compétences tant dénigrées (souvenir d’un directeur en réunion de rentrée disant aux parents de petite section : ici c’est pas la crèche, c’est l’école, il y a des choses à apprendre, un programme, donc pas de doudou, pas de tétine, même pour la sieste - … l’angoisse).

      L’autre jour, on parlait des différences entre maternelle et élémentaire. Je disais qu’en maternelle, on pouvait laisser jouer les enfants librement dans la classe. Une collègue est partie d’un rire méprisant en s’exclament « Qu’est-ce que j’entends ?! ». Pour elle, c’est inconcevable de se mettre en retrait (ou d’admettre qu’elle le fait), de laisser les enfants hors de ses tableaux de progression hebdomadaires/mensuels/annuels des apprentissages. Sinon à quoi elle servirait ? Comment verrait-on ses compétences qui font que, non, son métier n’est pas de la garderie ? Cette fierté revendiquée à avancer à marche forcée dans les apprentissages dès la petite section est une façon de se distinguer alors que l’institution, la société, nos conditions de travail, nous renvoient une image de nous-mêmes peu flatteuse. En plus de l’effet sur les enfants, le risque c’est aussi que ça amène les collègues à se dénigrer mutuellement.

  • « Cela pourrait même devenir dangereux » : interdire totalement les écrans aux enfants, fausse bonne idée ? | Actu
    https://actu.fr/societe/cela-pourrait-meme-devenir-dangereux-interdire-totalement-les-ecrans-aux-enfant

    "Cela pourrait même devenir dangereux" : interdire totalement les écrans aux enfants, fausse bonne idée ?

    Une commission d’experts a rendu à Emmanuel Macron un rapport sur les écrans et les jeunes. Sont préconisés plusieurs paliers pour l’usage des écrans. Des interdictions en somme.
    Interdire les écrans aux enfants de moins de trois ans est une solution préconisée par un rapport d’experts.
    Interdire les écrans aux enfants de moins de trois ans est une solution préconisée par un rapport d’experts. (©Suzi Media / Adobe Stock)
    Par Maxime T’sjoen Publié le 2 Mai 24 à 11:14
    Voir mon actu

    29 propositions devant être appréhendées dans un ensemble. Mais une logique implacable revendiquée par la commission d’experts sur l’impact de l’exposition des jeunes aux écrans dans un rapport rendu à Emmanuel Macron ce mardi 30 avril 2024 et qu’actu.fr a pu consulter : « organiser une prise en main progressive des téléphones », des paliers donc. Avec des interdits.

    Pas d’écran avant trois ans, déconseillé avant six, pas de téléphone avant 11, pas de smartphone avant 13 et pas de réseaux sociaux « éthiques » avant 15.

    Si ce n’est pas sous le coup de la loi, il s’agit uniquement des recommandations d’une dizaine d’experts, cela interroge. L’interdiction est-elle une solution ? Pourquoi pas.

    En revanche, elle doit être complétée par d’autres mesures, parfois au-delà du numérique et surtout un apprentissage des usages du numérique.

    « On met des digues et des digues »

    « Le choix du rapport est de préconiser des interdictions diverses et variées », insiste Anne Cordier, professeure des Universités en Sciences de l’Information et de la Communication, à l’Université Lorraine, sollicitée par actu.fr.

    Dès lors se pose la question de l’appréhension d’un univers numérique inaccessible. « Si l’enfant n’a pas les codes, il va prendre des risques », abonde Thomas Rohmer, directeur et fondateur de l’Observatoire de la Parentalité & de l’Éducation Numérique (Open).

    Interdire (quasi) tous les usages, c’est prendre le risque d’avoir un enfant sans « compétence », ni « culture », pour « maîtriser les usages » du numérique, détaille Anne Cordier. « On met des digues, des digues et des digues, où cela va se relâcher. Le risque, c’est le far-west. »

    Et là, cela peut être « dangereux », notamment pour les adolescents qui vont chercher « le risque dans leur construction », décrit Thomas Rohmer. Violences, pornographie, etc. Des contenus inadaptés, en somme, pourront alors être consommés par des jeunes utilisateurs en manque de repères.

    De plus, selon Anne Cordier, interdire les écrans serait « inapplicable ».

    Les écrans entraînent-ils des comportements dangereux ?

    Emmanuel Macron a demandé ce rapport le 16 janvier dernier, afin de « déterminer le bon usage des écrans ».

    Il estimait d’ailleurs que « les écrans ont eu un rôle » dans les émeutes de l’été, survenues après la mort du jeune Nahel et « ayant suscité une forme de mimétisme ».

    Dans son introduction, le rapport estime que « l’hyperconnexion subie des enfants » peut avoir « des conséquences » sur l’avenir de « notre société, notre civilisation ».

    La question de départ est mal posée. Il n’y a pas de causalité entre l’usage des écrans et la hausse de la violence chez les jeunes.
    Anne Cordier
    Professeure des Universités en Sciences de l’Information et de la Communication, à l’Université Lorraine

    Le rapport reconnait d’ailleurs qu’il « existe peu de données probantes ». « Il y a des choses que l’on sait et d’autres que l’on ne sait pas », rappelle le fondateur de l’Open, Thomas Rohmer.

    Aider les parents démunis

    Si le risque en interdisant tous les usages est connu, les deux experts contactés pour le bien de cet article ont aussi des solutions.

    Il faut un accompagnement éducatif bien formalisé et de façon gradué [...] en aidant les adultes démunis.
    Anne Cordier
    Professeure des Universités en Sciences de l’Information et de la Communication, à l’Université Lorraine

    C’est d’ailleurs une des préconisations du rapport de la commission « Écrans » qui appelle à « déployer une véritable politique d’aide et de soutien à la parentalité en matière d’écrans et de numérique ».

    « Toutes les propositions sont liées. Il ne faut pas sortir l’une du contexte, ce serait contre-productif, il faut avoir une approche systémique », se défend Amine Benaymina, co-président du rapport.

    Réglementer l’accès

    La question de l’accès aux contenus se pose alors forcément dans cette logique. D’autant que Servane Mouton, l’autre co-présidente du rapport, appelle à ne pas « faire porter la responsabilité uniquement aux enfants et aux parents » en pointant du doigt les industriels du secteur.

    « On a l’arsenal juridique pour réglementer l’accès », constate Anne Cordier. « Il faut obliger les plateformes à respecter les lois. » On pense au fait d’avoir 18 ans pour consulter un site pornographique, par exemple.

    Un problème de société ?

    Avec les préconisations d’interdictions, Thomas Rohmer, directeur et fondateur de l’Open voit un mal plus profond à notre société. « C’est plus simple de taper sur les écrans que de s’attaquer aux vrais problèmes », déplore-t-il.

    Globalement, on a l’impression que les réseaux sociaux sont responsables de tous les maux de notre société. [...] On ne parle que du mal, quitte à stigmatiser les plus jeunes. Mais on ne parle jamais des actions caricatives ou pour le climat.
    Thomas Rohmer
    Fondateur de l’observatoire de la Parentalité & de l’Éducation Numérique

    Il n’hésite pas à pointer du doigt les hommes politiques : « Ils disent que les réseaux sociaux, c’est mal, mais ils ne parlent aux jeunes que de cette manière. » Un paradoxe.

    « Les écrans, c’est souvent l’arbre qui cache la forêt »

    Selon Thomas Rohmer, « les écrans, c’est souvent l’arbre qui cache la forêt. Les loisirs sont moins accessibles, il y a de plus en plus de familles monoparentales ».

    « Des fois, certaines familles n’ont pas le choix de mettre les enfants devant Netflix. C’est moins cher qu’un club de foot. »

    Celui qui appelle à une aide financière pour la parentalité, estime aussi qu’il faut « prendre de la hauteur » par rapport aux écrans.

    Au final, le postulat de base fait consensus : « Bien sûr qu’il faut éviter que les petits soient soumis à des écrans. Tout cela nécessite une régulation », conclut Thomas Rohmer. « Mais une fois cela dit, quelles solutions réelles ? »

    #Anne_Cordier #Enfants #Ecrans

  • Rapport sur les écrans et les enfants : les préconisations sont-elles applicables ?
    https://www.la-croix.com/a-vif/rapport-sur-les-ecrans-et-les-enfants-les-preconisations-sont-elles-applic

    Entretien

    Anne Cordier Enseignante-chercheuse en sciences de l’information à l’université de Lorraine

    Anne Cordier, enseignante-chercheuse en sciences de l’information à l’université de Lorraine, interroge la possibilité de mettre en œuvre les mesures du rapport sur l’usage des écrans par les enfants, remis au gouvernement mardi 30 avril. Elle préconise une familiarisation avec les outils de communication plutôt que leur interdiction drastique.

    Recueilli par Juliette Paquier, le 01/05/2024 à 12:11

    La Croix : Que pensez-vous du rapport des experts chargés de travailler sur l’exposition des enfants aux écrans, remis au gouvernement mardi 30 avril ?

    Anne Cordier : Je suis partagée. D’une part, je suis très contente de voir apparaître dans ce rapport la mention de certains éléments comme la nécessité de restreindre l’accès aux « services prédateurs »(les grandes plateformes pensées pour capter l’attention des enfants, NDLR), de revoir les interfaces pour agir sur les notifications, ou le scrolling (faire défiler des publications, NDLR) à l’infini… Mais certains éléments m’inquiètent, notamment le nombre d’interdictions, qui ne reposent pas sur des faits scientifiques avérés.

    Le rapport préconise en effet la mise en place d’interdictions très strictes : aucun écran avant 3 ans, aucun accès à Internet avant 13 ans et pas de réseaux sociaux avant 15 ans. Ces mesures sont-elles applicables selon vous ?

    A. C. : Ces interdictions me semblent difficilement applicables. Je m’interroge d’abord sur la faisabilité juridique et l’atteinte à la liberté qu’elles pourraient engendrer : le droit d’accès à l’information et à Internet est garanti par la loi. Et les mineurs sont des citoyens comme les autres. Nous n’allons pas aller dans les familles pour les sanctionner ou dénoncer ceux qui n’interdisent pas les écrans à leurs enfants.

    Ces recommandations me paraissent par ailleurs socialement absurdes. Les enquêtes de terrain menées en France sur l’accès à l’information des enfants et adolescents montrent le rôle d’Internet et des réseaux sociaux comme moyen prisé des jeunes pour s’informer, mais aussi écouter de la musique, lire… Les interdire pourrait entraver l’accès des mineurs à certaines pratiques sociales et à la culture.

    La mise en place d’une « majorité numérique » pourrait aussi entraîner une invisibilisation des problématiques liées à ces outils de communication. Si l’enfant n’y a pas accès, comment pourrait-il être formé à leur utilisation et faire ses propres expériences de façon sécurisée ? Sans préparation en grandissant, l’exposition aux écrans à l’âge réglementaire pourrait être pire. Ces mesures favorisent en outre les inégalités sociales puisque dans beaucoup de familles, il n’y a pas d’ordinateur mais uniquement le téléphone comme accès à Internet.

    Nous verrons la manière dont les pouvoirs politiques se saisissent de ces recommandations, mais je me demande comment elles pourraient être appliquées. La commande de départ était déjà problématique puisqu’un lien avait été fait entre les émeutes de juin 2023 et les réseaux sociaux, or aucune étude scientifique n’a établi ce lien à ce jour.

    Si interdire n’est ni faisable ni souhaitable, quelle serait la solution ?

    A. C. : La familiarisation et l’éducation aux écrans et au numérique tout au long du parcours de vie de l’enfant puis de l’adolescent sont les clés. L’éducation aux médias existe déjà aujourd’hui, du cycle 2 à la terminale. L’école est précisément le lieu où l’on peut les accompagner.

    Cette éducation aux médias doit s’assortir d’un soutien à la parentalité, mentionnée dans le rapport mais seulement pour les moins de 3 ans. Les parents sont réellement démunis, ils ont des questions et des inquiétudes légitimes. Je pense qu’il faudrait les accompagner tout au long de la croissance de l’enfant.

    #Anne_Cordier #Enfants #Ecrans

  • More than 50,000 unaccompanied child migrants went missing in Europe : Survey

    Highest number in Italy with nearly 23,000, notes Lost in Europe project

    More than 50,000 unaccompanied child migrants went missing after arriving in Europe, a survey by a European journalism project revealed Tuesday.

    “Italy has the highest number of registered missing unaccompanied minors, with 22,899, followed by Austria (20,077), Belgium (2,241), Germany (2,005), and Switzerland (1,226),” according to the Lost in Europe project, which gathered data from 13 European countries from 2021 - 2023.

    It said the number of missing children may be even higher because data is often unreliable and incomplete, and many European countries do not collect data on missing unaccompanied minors.

    “These shocking findings underscore the seriousness of the issue, with thousands of children missing and their whereabouts unknown,” it said.

    Aagje Ieven, head of Missing Children Europe, said, “The increased number of reports on missing unaccompanied minors serves as a sharp reminder of the giant iceberg that looms beneath the surface.”

    https://www.aa.com.tr/en/europe/more-than-50-000-unaccompanied-child-migrants-went-missing-in-europe-survey/3206605

    #disparitions #MNA #mineurs_non_accompagnés #enfants #enfance #migrations #asile #réfugiés #Italie #Autriche #Belgique #Allemagne #Suisse

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    A mettre en lien avec les statistiques et chiffres des « enfants réfugiés disparus en Europe » —> l’exemple d’Ancona montre les raisons des départs de #MNA des centres d’accueil en Italie :
    https://seenthis.net/messages/714320

  • How European countries wrongfully classify children seeking asylum as adults

    Thousands of children seeking protection in Greece, Italy, and the UK have likely been registered as adults – a failure with serious consequences.

    In July 2015, a Gambian teenager named Omar boarded a dinghy in Libya and crossed the Mediterranean Sea. Hours after landing in Italy, he was accused of steering the boat and arrested for people smuggling – a charge levelled against many asylum seekers and migrants attempting to reach Europe.

    Omar, whose name has been changed to protect his identity, told Italian authorities that he was 16 – a minor. But they didn’t believe him and X-rayed his hand and wrist to determine his age. Based on the results of the medical exam, authorities determined Omar was over 18.

    The exam that was used can have a margin of error of over two years, and many medical organisations believe it to be inaccurate. But it is still administered in numerous European countries.

    Omar was sent to Pagliarelli prison, the largest adult carceral facility in Sicily, to await trial. After months being there, he was able to connect with a lawyer, Cinzia Pecoraro, who had successfully defended other detainees facing smuggling charges.

    “You could see from his face he was a child,” Pecoraro, reflecting on her first visit to see Omar, told Solomon. “You can’t stay here,” she remembers telling him.

    But by the time Pecοraro was able to prove Omar was a minor, he had already spent a year in adult prison. Nearly a decade later, “he remains traumatised,” Pecoraro said. “He stutters, and he’s afraid of everything.”

    Omar’s case isn’t isolated. Solomon and The New Humanitarian spent more than six months investigating the wrongful classification of asylum seeking minors as adults in Greece, Italy, and the UK, speaking to over 30 lawyers, doctors, and human rights advocates, and analysing court documents and reports. The reporting showed that:

    - Unaccompanied children seeking asylum in all three countries have been repeatedly classified as adults, including by border security force officials who sometimes arbitrarily decided the age of asylum seekers;

    - The assessment systems that are used to determine people’s ages are unreliable, poorly implemented, and often violate the legal rights of children;

    - And that systemic issues – including a lack of qualified interpreters – makes it difficult for children who are wrongfully qualified as adults to appeal their cases.

    ‘Consequences can be disastrous‘

    Every year, tens of thousands of children undertake dangerous journeys to Europe on their own, often in search of safety or to reunite with relatives. In 2023, more than 41,500 unaccompanied children applied for asylum in EU countries.

    Over the past decade, that number has ebbed and flowed, along with the overall number of asylum seekers reaching Europe, from a low of around 13,500 in 2020 to a high of nearly 92,000 in 2015. In the UK, out of around 75,000 asylum applications submitted last fiscal year (ending in October), around 4,600 came from unaccompanied minors.

    It is difficult to know how many children have been wrongfully classified as adults because many cases are never documented.

    Italy does not collect data on the number of age classification cases that have been challenged and overturned. Numerous requests by Solomon and The New Humanitarian to the Greek Ministry of Migration and Asylum for data have gone unanswered. A document provided by the ministry to the Greek parliament, however, said that, between the end of April 2021 and the end of March 2023, there were 1,024 age dispute cases. In 37% of these cases, the people involved were found to be children.

    Meanwhile, in the UK, between the start of 2020 and September 2023, there were 9,681 age dispute cases. In 55% of these, the people were found to be children.

    The stakes for children when are high. Obtaining an accurate age assessment can make the difference between having access to shelter or being forced to live on the streets and between gaining legal status or being deported.

    Like Omar, other children wrongfully classified as adults have been tried in the adult criminal justice system.

    In one high-profile case, six young Afghan asylum seekers were accused of starting the fire that burned down the notorious Moria refugee camp on the Greek island of Lesvos in September 2020. Two of them were already registered as minors. Three of the other four said they were under 18, but were tried as adults after being given an age assessment exam. They were convicted and sentenced to 10-year jail terms.

    Last month, a judge in an appeals case found the three of the defendants who said they were minors were in fact under 18 at the time of the fire and that the age assessment exam they had been given had not followed procedures. The judge declared a mistrial, and the three defendants will now be tried again as minors. They have been released from prison – although they are barred from leaving Greece – as they await their new trial, but only after spending three and a half years in a prison for inmates between the ages of 18 and 25.

    In general, children being incorrectly classified as adults during trials leads to harsher sentences, and time spent in adult prisons increases the likelihood of them being exposed to violence and abuse.

    Outside the criminal justice system, children wrongfully classified as adults are also denied rights, such as access to education, and face bureaucratic barriers to reuniting with family members in other European countries.

    “These consequences can be disastrous,” Monica Mazza, a psychologist based in Turin, Italy and a member of the Italian Society of Migration Medicine, told Solomon. “They can affect [minors] for long periods of their life.”
    ‘There’s bias built into the system’

    The problem of minors being classified as adults is a symptom of often overburdened and under-resourced asylum systems in EU countries and the UK, according to some of the experts Solomon spoke to.

    Governments say that they use age assessments to protect minors and to prevent adults from pretending to be children to try to gain easier access to legal status, protection from deportation, and better services. But some experts say the dysfunction of asylum systems – which in many places (including the UK, Italy, and Greece) are being made increasingly draconian as a strategy to try to deter migration – creates an incentive for some people to try to game the system.

    “If you know that after turning 18 you’re screwed, then you do anything to remain 17 your whole life,” said Nikolaos Gkionakis, a psychologist and co-founder of Babel Day Center, which provides mental health services to asylum seekers and migrants in Athens, Greece.

    At the same time, minors also sometimes claim to be adults, according to lawyers Solomon spoke to, especially when they have relatives in other European countries and want to avoid getting stuck in formal family reunification processes that often move at a glacial pace. “They know they’d end up stuck in a childcare facility,” Rosa Lo Faro, a lawyer who works with asylum seekers and migrants in Catania, Italy, said.

    Underaged girls who are victims of human trafficking are also often forced by traffickers to claim that they are over 18 so they don’t end up in the more robust child protection system. “This is why an accurate age assessment process is important,” Mazza, the Turin-based psychologist, added.

    At best, however, the evaluation methods EU countries and the UK rely on when doubts are raised to determine people’s age have their limitations. At worst, they are fundamentally flawed.

    With hundreds of thousands of people applying for asylum each year, accurately categorising applicants as adults or children, and channelling them into the corresponding system, presents a significant challenge. A few countries (including the UK, Serbia, and Ireland), have relied on visual and biographical age assessments to do this. But many European countries (including Italy and Greece), frequently use medical testing, despite numerous warnings from experts and medical associations that they are inaccurate and unethical.

    “There is no scientific test that can be used to tell you precisely how old a child is in terms of looking at their age for immigration and asylum purposes,” says professor Andew Roland, a consultant in paediatric emergency medicine and officer for child protection at the UK’s Royal College of Paediatrics and Child Health. “The methods that have been proposed to be used in this age assessment process, the answer that they give is often an age range.”

    One of the most commonly used methods – which was used on Omar – is a bone age assessment done by x-raying the hand and wrist using the Greulich-Pyle atlas. Developed in the 1950s using data gathered from Caucasian children, the test doesn’t take ethnicity or other variables, such as socioeconomic background and nutritional status, into account.

    “It’s important to know that there’s bias built into the system,” Ranit Mishori, a senior medical advisor for Physicians for Human Rights who has written about the inaccuracy of medical age assessments, told Solomon.

    In 2018, the European Society of Pediatric Radiology recommended against using the Greulich-Pyle atlas, as well as other bone measurement methods, as age assessment tests. Despite this, the Greulich-Pyle atlas continues to be widely used.

    In 2019, the World Medical Association (WMA) released a statement recommending that “medical age assessments only be carried out in exceptional cases and only after all non-medical methods have been exhausted”.

    “There is conflicting evidence about the accuracy and reliability of the available methods of age assessment, which may generate significant margins of error,” the statement said.

    Countries like Italy and Greece, however, continue to use medical age assessments as the primary method to determine the age of minors.
    ‘Without observing basic fairness’

    In addition to concerns about the accuracy of tests, authorities often disregard laws on how age assessments are supposed to be conducted.

    In Greece and Italy, medical testing is only supposed to be conducted after a psychosocial assessment by social workers, child psychologists, and neuropsychiatrists. But lawyers and NGO workers said this step is often skipped in both countries.

    In Greece, this is often due to a shortage of qualified professionals. In 2021, for example, age assessments on the island of Lesvos were suspended for six months because of a lack of qualified personnel. During this time, people who said they were minors but were not believed by authorities were placed in tents with hundreds of adults at the reception centre on the island.

    One Afghan asylum seeker who claimed to be 16 was placed in a tent with 180 men where he was threatened with rape before eventually being attacked with a knife in the toilets.

    In Italy, a recent report found that out of 102 local health authorities (the main institutions that conduct age assessments), only 29 implemented a 2017 law aimed at improving the asylum system for children, which included a more comprehensive age assessment procedure involving a social worker and a psychological or neuropsychiatric evaluation. Instead, most still use age assessments that heavily rely on medical exams.

    In addition to the Greulich-Pyle atlas, Italy is one of several countries – including Germany, Austria, and Croatia – that still uses highly intrusive sexual maturation genital exams to determine age. “A minor can decide not to do it, but he could be declared over eighteen,” Alice Argento, an Italian immigration lawyer, said.

    In the UK, where authorities have relied almost exclusively on visual and psychosocial age assessments in recent years, issues have still arisen.

    On 14 December 2020, an asylum seeker – who is referred to as MA in court documents – arrived in the UK in the back of a lorry after being separated from his mother. Police picked him up at a gas station in the middle of the night after he asked for help. His age assessment happened at noon the following day. Lasting just 42 minutes, the assessment concluded he was 20 years-old – despite his claims that he was 16.

    “I had only just arrived and I was very tired and so I was not certain of what happened or what was said,” MA said in a witness statement. “The interpreter was there, but they were only on the phone and there was no one there to look out for me, just the two people who were asking me many questions. It was a very difficult experience.”

    MA ended up spending three days in an immigration removal centre before being sent to an accommodation for adult asylum seekers. According to his lawyers, he wasn’t given a copy of his age assessment or made aware that he could challenge the result.

    In June 2022, a High Court judge noted that MA had been given an age assessment that was unlawful. “Hundreds of children were subject to this guidance and age disputed under a truncated process that operated without observing basic fairness or providing young people with an appropriate adult,” MA’s lawyers said in a statement.
    ‘Life changing implications’

    Under a legal principle called favor minoris (favouring the minor) international law requires that asylum seekers who declare themselves to be under 18 should be treated as minors until their age can be confirmed. This principle is often disregarded.

    In Greece, for example, children spent months stranded in camps for adults. “Through correspondence with the authorities, we found out that the presumption to minority was not applied in cases where minors who were wrongly registered as adults were waiting for the age assessment results,” said Dimitra Linardaki, who works with the NGO Fenix.

    In Italy, “there is no favor minoris”, immigration lawyer Nicola Datena said. Instead of being protected, children are often left at the mercy of a system that questions them, he added.

    Unaccompanied minors often don’t know that they can challenge an age misclassification, and they struggle to access quality legal representation. The onus for overturning an incorrect age classification is almost entirely on the children, according to experts. And lawyers in Italy said that authorities sometimes intentionally register minors as adults to allow them to be deported. The Italian Ministry of Interior has not responded to The New Humanitarian’s request for comment on this allegation.

    As political attitudes toward migration in Europe continue to shift rightward, there is little sign of governments being interested in improving or replacing current age assessment systems, despite the clearly documented problems. In fact, in the UK, as part of its efforts to crack down on migration, the government has announced that it intends to introduce medical age testing.

    While the flaws in current approaches are apparent, the question remains: what would a better system look like?

    Some medical associations advocate for the use of multiple assessment tools, combining psychosocial and medical exams that involve X-rays and CT scans. But other medical experts worry about the risks associated with exposing children to radiation. “You have to balance the risks of these exams with the benefits. And all this radiation really kind of gives me a pause,” said Mishori from Physicians for Human Rights.

    “These decisions that have been taken have absolutely life changing implications for some of the most vulnerable young people in our society,” said Roland, from the UK’s Royal College of Paediatrics and Child Health. “To base some of those decisions on unspecific scientific outcomes, to expose those young people to radiation – it really is not ethically acceptable; it’s not scientifically robust.”

    Overall, the flaws in age assessment systems are reflective of the problems within European asylum systems as a whole, lawyers, researchers, and migration experts said. With the focus on reducing migration rather than providing people protection, “what’s missing is the willingness to do a good job,” Argento said.

    https://wearesolomon.com/mag/focus-area/migration/how-european-countries-wrongfully-classify-children-seeking-asylum-as-
    #enfants #enfance #asile #migrations #réfugiés #Grèce #Italie #UK #Angleterre #âge #MNA #mineurs_non_accompagnés #test #test_osseux #estimation

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    sur les tests osseux pour déterminer l’âge, voir aussi :
    – la position de la Société Suisse de Pédiatrie : https://asile.ch/2017/05/29/position-de-societe-suisse-de-pediatrie-determination-de-lage-jeunes-migrants
    – la position des Sociétés Suisses de Radiologie Pédiatrique (SSRP) ainsi que d’Endocrinologie et Diabétologie Pédiatriques (SSEDP) : https://asile.ch/2016/09/01/paediatrica-lage-osseux-ne-permet-de-determiner-lage-jeunes-requerants-dasile

  • A la frontière franco-italienne, des refoulements « illégaux » de migrants, dénonce la Défenseure des droits

    Dans une décision-cadre inédite, au terme de deux ans d’instruction, la Défenseure des droits dénonce des violations « systématiques » des droits des personnes par les autorités françaises, en particulier des demandeurs d’asile et des mineurs isolés. Des #privations_de_liberté « arbitraires » et « indignes » sont aussi épinglées.

    C’est une décision inédite de la Défenseure des droits, Claire Hédon, qui est rendue publique jeudi 25 avril. Pour la première fois, cette autorité administrative indépendante s’est penchée avec exhaustivité sur les pratiques de la France à sa frontière avec l’Italie. Depuis 2015, des contrôles y ont été rétablis, qui contreviennent au principe de libre circulation des personnes dans l’espace Schengen, mais qui sont sans cesse justifiés auprès de la Commission européenne par la menace terroriste et les flux migratoires irréguliers en Europe.

    Pendant près de deux ans, la Défenseure a enquêté sur la façon dont ces contrôles aux frontières intérieures de l’Union européenne (UE) sont réalisés, en se rendant notamment aux postes de police de Menton (Alpes-Maritimes) et de Montgenèvre (Hautes-Alpes), en épluchant les registres des services, en visitant les locaux dans lesquels les personnes sont retenues, en interrogeant les préfectures et les forces de l’ordre. Ses conclusions sont cinglantes : « Les droits des personnes migrantes font l’objet de violations massives », soulignent les équipes de Mme Hédon auprès du Monde.

    En 2023, plus de trente mille refus d’entrée ont été réalisés à la frontière franco-italienne, quasi exclusivement au motif que les personnes n’avaient pas de document de voyage ou de titre de séjour. Sur 184 pages, les observations de la Défenseure des droits détaillent des contrôles, des interpellations, des privations de liberté et des renvois en Italie de migrants. Pour elle, ces refoulements sont « illégaux ».

    La Défenseure a par exemple constaté que des refus d’entrée sont opposés à des personnes contrôlées en dehors des points de passage frontaliers formellement identifiés. Elles se trouvent donc déjà sur le territoire français et devraient en conséquence se voir appliquer d’autres procédures de contrôle.

    Contrôles « discriminatoires »

    Sur le principal point de passage, la gare de Menton-Garavan, qui concentre « 70 % à 80 % des interpellations », Mme Hédon a aussi observé des contrôles « discriminatoires, fondés sur des caractéristiques physiques associées à une origine réelle ou supposée », mais aussi des palpations systématiques sans qu’un danger potentiel objectif ait été identifié, y compris sur des mineurs et à la vue du public.

    Une fois les personnes contrôlées amenées au poste de la police aux frontières, qu’il s’agisse de celui de Menton ou de Montgenèvre, la Défenseure des droits considère qu’elles sont éloignées sans tenir compte de leur situation individuelle et donc de façon indiscriminée et systématique, au mépris en particulier de leur souhait de demander l’asile. Mme Hédon s’étonne que les autorités « assument » de procéder ainsi. « Cette pratique illégale est pleinement avalisée par la hiérarchie des forces de police ainsi que par l’autorité préfectorale », souligne-t-elle, dénonçant « une violation durable et systématique du droit d’asile à la frontière franco-italienne ».

    Les violations des droits de l’enfant sont également largement documentées. La Défenseure des droits considère que la police doit immédiatement orienter vers l’aide sociale à l’enfance des départements les jeunes se disant mineurs isolés. En lieu et place de quoi, la police aux frontières procède à des « opérations d’identification judiciaires » : elle relève leurs empreintes et consulte plusieurs fichiers biométriques. De même, lorsque les mineurs présentent des documents d’état civil tels que des actes de naissance, ceux-ci ne sont pas pris en compte. A tel point que la police fait figurer des dates de naissance différentes sur les refus d’entrée qu’elle édicte.

    « Appréciation » de l’âge des mineurs

    Dans les Alpes-Maritimes, une expérimentation est menée avec le conseil départemental depuis 2019. Des effectifs sont présents au sein des locaux de police de Menton pour procéder à une « appréciation » de l’âge des jeunes, à travers un entretien de quelques minutes. Un entretien dont les enjeux ne sont pas précisés aux personnes et qui fait l’objet d’un compte rendu qui n’est pas relu par le jeune, pas plus que celui-ci n’est informé de la possibilité de saisir un juge des enfants s’il conteste l’évaluation de son âge. Pour la Défenseure, ce protocole expérimental est illégal. De même, Mme Hédon a constaté que, si la police italienne refusait de reprendre le jeune, la police française avait pour pratique de le laisser libre en lui notifiant une obligation de quitter le territoire. Un procédé jugé, là encore, illégal.

    De façon plus générale, la Défenseure des droits a constaté que la police privait de liberté les personnes interpellées, pendant parfois toute une nuit en raison de la fermeture des services de police italiens. Les locaux préfabriqués utilisés pour, officiellement, des « mises à l’abri » de migrants, sont en réalité des lieux d’enfermement « arbitraire », puisque les personnes n’y bénéficient pas des droits afférents. Le juge n’y exerce aucun contrôle, les personnes n’ont pas accès à un avocat et les conditions matérielles d’enfermement sont qualifiées d’« indignes », en raison notamment de l’exiguïté des lieux, du manque d’hygiène, de lits et de matelas, d’aération ou encore de séparation entre les mineurs et les adultes.

    Surtout, la Défenseure des droits rappelle que, depuis une décision du Conseil d’Etat du 2 février (qui répercute un arrêt de la Cour de justice de l’Union européenne du 21 septembre 2023), le droit applicable aux étrangers à une frontière intérieure a été clarifié. La justice a ainsi rappelé que les éloignements devaient suivre une procédure de remise à l’Italie bien précise (prévue par un accord bilatéral de 1997, dit « de Chambéry »). Ces précisions de droit ont des implications importantes sur les pratiques de la police.

    Aménager des locaux spécifiques

    Les personnes contrôlées à la frontière peuvent ainsi faire l’objet, si elles se trouvent en situation irrégulière, d’une retenue administrative pour vérification de leur droit au séjour. Mais la Défenseure rappelle que ni les demandeurs d’asile ni les mineurs non accompagnés ne peuvent être placés en retenue administrative (car alors ils ne sont pas en situation irrégulière mais doivent être orientés, les premiers vers un guichet de demande d’asile et une véritable mise à l’abri, les seconds vers l’aide sociale à l’enfance pour une procédure d’évaluation). Les demandes d’asile formulées par les personnes étrangères « doivent être transmises sans délai à l’autorité préfectorale, et sans autres vérifications », insiste la Défenseure.

    Mme Hédon profite de sa décision pour se pencher sur les conséquences éventuelles de la loi relative à l’immigration adoptée en décembre 2023 et promulguée début 2024, et qui prévoit le placement en rétention administrative des demandeurs d’asile lorsqu’ils présentent un « risque de fuite ». Pour la Défenseure, cette rétention ne saurait s’appliquer de façon systématique aux migrants à la frontière et devrait faire l’objet d’un contrôle de constitutionnalité au fond.

    Quant aux personnes en situation irrégulière placées en retenue administrative, la Défenseure des droits rappelle que cette retenue ne peut excéder vingt-quatre heures, que des locaux spécifiques doivent être aménagés à cette fin, qui respectent la dignité des personnes, que le procureur doit être systématiquement averti, et qu’il doit en outre autoriser toute consultation du fichier automatisé des empreintes digitales, que les personnes doivent être informées, dans une langue qu’elles comprennent, de la possibilité d’avoir un avocat, qu’un procès-verbal de fin de retenue doit leur être notifié ainsi qu’une décision écrite de remise à l’Italie, pays qui doit formellement donner son accord à cette remise. « Aujourd’hui, rappellent les équipes de la Défenseure des droits, nous n’avons pas de garantie sur un changement de système. »

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/04/25/a-la-frontiere-franco-italienne-des-refoulements-illegaux-de-migrants-denonc

    #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #frontières #Italie #France #Vintimille #renvois #expulsions #défenseur_des_droits #contrôles_frontaliers #Hautes-Alpes #Alpes_Maritimes #Montgenèvre #violations_massives #refus_d'entrée #interpellations #refoulements #push-backs #droit_d'asile #illégalité #mineurs #enfants #âge #retenue_administrative

    –-> et ce terme "illégaux" mis entre guillemets... pourtant les #refoulements sont illégaux. C’est l’article 33 de la convention sur les réfugiés qui le dit, c’est le #principe_de_non-refoulement...
    #illégalité #terminologie #mots #vocabulaire

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    ajouté à la métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
    https://seenthis.net/messages/795053

    • Respect des droits des personnes migrantes à la frontière intérieure franco-italienne : le Défenseur des droits publie une décision-cadre

      Le Défenseur des droits publie ce jour une décision-cadre sur le respect des droits des personnes contrôlées et interpellées à la frontière intérieure franco-italienne, par les forces de sécurité françaises, dans les départements des Alpes-Maritimes et des Hautes-Alpes.

      Le franchissement des frontières de l’Union européenne (UE) est régi par le règlement européen dit code frontières Schengen, qui distingue d’un côté, les « frontières extérieures » de l’UE, et de l’autre, les « frontières intérieures » entre deux États membres de l’UE. Le franchissement de chaque catégorie de frontières obéit à des conditions qui lui est propre. Concernant les frontières intérieures, le principe est la libre circulation des personnes. Le droit de l’UE assure ainsi l’absence de tout contrôle des personnes aux frontières intérieures, quelle que soit leur nationalité, lorsqu’elles franchissent ces frontières. Cependant, depuis 2015, la France a rétabli les contrôles à ces frontières, en faisant application d’une exception prévue par le code frontières Schengen mais strictement encadrée.

      La #décision-cadre n°2024-061 (https://juridique.defenseurdesdroits.fr/index.php?lvl=notice_display&id=50351) s’inscrit dans le cadre du traitement de réclamations individuelles adressées à l’institution par les personnes concernées et par l’intermédiaire d’associations. Elle est le résultat d’une instruction contradictoire menée auprès des autorités mises en cause et de la mise en œuvre des pouvoirs d’enquête et d’intervention de l’institution. À ce titre, la Défenseure des droits a effectué un déplacement avec ses équipes à Montgenèvre et Briançon les 10 et 11 février 2022. Les services de l’institution ont également mené une vérification sur place du 10 au 13 avril 2023 à Menton, au sein des locaux de la police aux frontières (PAF) et à des points de passage autorisés.

      Cette décision intervient dans un contexte inédit, dans lequel la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE, 4e ch., 21 septembre 2023) et le Conseil d’État (CE, section du contentieux, 2ème et 7ème ch.) ont récemment réaffirmé l’obligation pour les États membres de l’Union européenne, d’appliquer les garanties juridiques minimales prévues par la directive européenne dite retour aux personnes qui sont interpellées à la frontière intérieure, afin que leurs droits fondamentaux soient respectés.

      De manière préoccupante, cette décision-cadre conclut à l’existence de procédures et pratiques qui ne sont pas conformes à la directive retour, au droit européen et au droit national. Elle conclut également à des atteintes substantielles et multiples aux droits des personnes interpellées, à partir du moment où elles sont contrôlées, jusqu’à leur éloignement du territoire.

      Des procédures de refus d’entrée contraires au droit de l’UE

      Le Défenseur des droits constate que les personnes interpellées font l’objet d’une procédure de refus d’entrée qui ne respecte pas les garanties juridiques minimales de la directive retour telles que le recours à une procédure équitable et transparente, impliquant notamment un examen de la situation individuelle de la personne, la motivation des décisions en fait et en droit ou encore l’accès à l’interprétariat. Ces atteintes concernent un nombre de personnes d’autant plus important que la procédure est mise en œuvre sur une zone frontalière très étendue et imprécise, ce qui est en contradiction avec le droit européen.
      Une privation de liberté hors de tout cadre juridique

      Un grand nombre de personnes interpellées se retrouvent enfermées pendant plusieurs heures, voire une nuit entière, dans des locaux présentés comme des espaces de « mise à l’abri », sans fondement légal et dans des conditions indignes. Plus inquiétant encore, parmi ces personnes se trouvent des personnes vulnérables, notamment des familles, des mineurs et des demandeurs d’asile.
      Des obstacles au droit d’asile

      Concernant les demandeurs d’asile, le Défenseur des droits constate notamment que si la personne est considérée comme « non entrée » sur le territoire, elle fait l’objet d’un refus d’entrée et aucune demande d’asile n’est prise en compte. Cette pratique largement assumée est ouvertement contraire au droit d’asile, et constitue une entrave grave, généralisée et durable à l’accès à la procédure d’asile à la frontière franco-italienne.
      De lourdes atteintes aux droits des mineurs

      Concernant les mineurs, le Défenseur des droits relève de lourdes atteintes à leurs droits, qu’ils soient ou non accompagnés, en violation de l’intérêt supérieur de l’enfant et des droits des mineurs, et des garanties de la directive retour. Les procédures mises en place entravent notamment l’accès des mineurs non accompagnés à la protection de l’enfance.

      Au regard de l’ensemble de ses constats et conclusions alarmants, la Défenseure des droits formule une série de recommandations qu’elle adresse au ministre de l’Intérieur et des Outre-mer et aux préfectures concernées. Elle appelle à faire cesser, dans les plus brefs délais, les procédures et pratiques constatées et à mettre fin aux atteintes multiples portées aux droits des personnes qui sont contrôlées et interpellées à la frontière franco-italienne.

      https://www.defenseurdesdroits.fr/respect-des-droits-des-personnes-migrantes-la-frontiere-interieur

    • La France accusée de « violations systématiques » des droits des migrants à sa frontière avec l’Italie

      Une enquête très documentée publiée jeudi par la Défenseure des droits souligne des « violations systématiques » par les autorités françaises des droits des personnes migrantes souhaitant entrer sur le territoire depuis l’Italie, ainsi que des privations de liberté « arbitraires et indignes ».

      En 2023, 30 000 refus d’entrées ont été notifiés à des personnes que la police a ensuite refoulées sur le territoire italien. Dans bon nombre de cas, ces refoulements étaient illégaux. C’est ce qu’a pu constater la Défenseure des droits Claire Hédon au terme d’une enquête de deux ans, en se rendant avec ses équipes à la frontière franco-italienne. Cette « décision-cadre », un document qui fait partie des moyens d’action de la Défenseure des droits, a été publiée jeudi 25 avril et adressée au ministère de l’Intérieur.

      L’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafe) constate ces violations des droits sur le terrain depuis huit ans. « On était encore en observation à la frontière la semaine dernière, précise son président Alexandre Moreau. Ce qu’on observe, c’est qu’il n’y a toujours pas d’interprètes dans les procédures de vérification de séjour. Il n’y a pas d’information sur la procédure appliquée aux personnes, il n’y a pas d’avocat et donc pas d’assistance juridique. Il n’y a pas non plus d’information sur la procédure d’asile. Or un certain nombre de personnes fuient des situations qui leur justifieraient un besoin de protection internationale au-dessus de l’asile, il n’y a pas de toute cette explication et c’est encore pire pour les mineurs isolés. »
      Atteintes aux droits des enfants pour les mineurs non accompagnés

      Le cas des mineurs non accompagnés est particulièrement mis en lumière dans l’enquête de la Défenseure des droits. Selon la loi, une personne migrante se déclarant mineure doit notamment être prise en charge par les services départementaux de l’Aide sociale à l’enfance (ASE). Or, les pratiques de la police française aux frontières (PAF) ne reflètent pas les procédures prévues, estime Alexandre Moreau.

      « Lorsqu’on procède à une vérification du séjour pour les mineurs, on doit leur permettre un temps de répit. Mais on observe qu’il n’y a pas ce temps de répit immédiatement. Quand il y a interpellation, il y a examen. L’examen ne dure même pas 30 minutes. On ne leur explique pas pourquoi ils doivent répondre à ces questions et quels en sont les enjeux. Systématiquement, on s’aperçoit que la minorité, elle, est contestée et donc le doute ne profite pas à la minorité. Et on ne leur explique pas, par exemple, qu’ils ont droit à un avocat, qu’ils ont droit aussi de saisir le juge des enfants pour contester la décision de majorité. Or, les mineurs isolés ne sont jamais, jamais, jamais en situation irrégulière sur le territoire. »
      Privations de liberté arbitraires

      Une fois interpellées, « un grand nombre de personnes se retrouvent enfermées pendant plusieurs heures, voire toute une nuit », souligne l’enquête. Cela sous prétexte d’être « mises à l’abri », avant d’être reconduites de l’autre côté de la montagne par la police italienne. « On n’est ni dans une zone d’attente, ni dans un centre de rétention, indique Alexandre Moreau. C’est une procédure complètement illégale et arbitraire d’un enfermement dans des préfabriqués, donc en plus dans des conditions complètement indignes. Et on ne sait pas exactement dans quel cadre juridique la police pratique cet enfermement. Elle parle de mise à l’abri, mais c’est tout un code particulier qui n’est pas non plus lui-même respecté. »

      Parmi la longue liste d’entraves constatées par la Défenseure des droits dans ce rapport de 180 pages, le lieu même des contrôles policiers pose question. Les points de contrôles doivent être déclarés à la Commission européenne, condition sine qua non au rétablissement des contrôles aux frontières intérieures de l’espace Schengen. Or, à plusieurs reprises, des personnes exilées ont été interceptées à d’autres endroits que ceux officiellement prévus dans les textes.
      Le rétablissement des frontières intérieures justifié par un attentat à Moscou

      Le droit européen permet effectivement aux États membres de l’espace Schengen, dont la libre-circulation des personnes est un principe clef, de rétablir les contrôles à titre exceptionnel et pour une durée de six mois.

      Depuis 2015, en raison d’une menace terroriste après les attentats du 13 novembre 2015 à Paris, la police française aux frontières a activement repris du service. Depuis, le rétablissement des contrôles est sans cesse renouvelé, motivé par des événements aussi variés que la pandémie de Covid-19 en 2020, ou l’organisation de la Coupe du monde de Rugby en 2023.

      L’autorisation actuelle prend fin le 30 avril 2024. Au 1er mai, de nouveaux arguments ont été notifiés à la Commission européenne : la tenue des Jeux Olympiques et paralympiques à Paris et l’attentat de Moscou du 22 mars dernier.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/56698/la-france-accusee-de-violations-systematiques-des-droits-des-migrants-

    • Migrations à la frontière franco-italienne : comment la loi est utilisée pour déplacer les montagnes

      Imaginez. La vie chez vous – en Syrie, en Guinée, au Bangladesh, en Turquie – est devenue trop dangereuse. Après y avoir longuement réfléchi, vous prenez donc la décision de partir, de quitter votre pays. Vous avez déjà tenté plusieurs fois d’obtenir un visa pour faire le voyage en sécurité, sans succès. Votre destination : la France. C’est là qu’une cousine peut vous accueillir le temps de la procédure pour obtenir l’asile, puis de reconstruire votre vie. Il ne vous reste donc que de « tenter l’aventure », voilà comment vous définissez le voyage entre vous, comme le soulignent les universitaires Cécile Canut et Alioune Sow dans un texte publié il y a dix ans.

      Vous êtes ainsi contraint de traverser des montagnes, des déserts, des rivières et des mers de manière « illégalisée ». C’est ainsi que le chercheur Harald Bauder suggère de définir les parcours qui se font de manière clandestine. Vous arrivez par voie terrestre ou maritime aux portes de l’Europe début décembre 2023. Vous vous apprêtez à entrer en Grèce, Italie ou Espagne, des pays membres de l’Union européenne et par ce fait soumis aux règles communes de l’espace Schengen.

      C’est une agente des polices aux frontières (PAF) du pays en question qui contrôle si vous avez les papiers requis – un passeport avec un visa valable pour l’espace Schengen – pour passer la frontière dite « extérieure » de l’Union européenne (UE). Vous ne les avez pas, mais vous savez par contre que, pour déposer une demande d’asile, les papiers ne sont pas nécessaires. L’agente devant vous incarne l’autorité nationale, elle agit au nom de l’État, qui est souverain dans le contrôle des flux migratoires et dans la fixation des conditions d’entrée et de séjour des personnes étrangères sur son sol.

      Pourtant, il y a des normes qui priment, et l’agente devrait le savoir. C’est notamment le cas du principe dit « de non-refoulement ». Celui-ci limite cette liberté de principe pour les personnes qui demandent l’asile, soit celles qui font une requête de protection contre une persécution subie dans leur pays. C’est l’article 33 de la Convention relative au statut des réfugiés (ou Convention de Genève) qui interdit l’expulsion d’« un réfugié sur les frontières des territoires où sa vie ou sa liberté serait menacée ».

      Vous décidez donc de manifester votre intention de demander l’asile. Vous êtes enfermé dans un hotspot, un de ces centres d’enregistrement mis en place dès 2015 par l’UE dans le but d’identifier, d’évaluer et de trier les personnes exilées arrivant sur le territoire européen. Vous avez de la chance, vous y restez seulement quelques jours et vous trouvez le moyen de continuer le voyage. Vous êtes en Italie, mais vous êtes surtout sur le sol de l’Union européenne, un espace de libre circulation, pensiez-vous. Fini les contrôles systématiques aux frontières dites « intérieures » depuis mars 1995. Théoriquement.
      Des contrôles accrus

      Dans la pratique, les choses sont différentes. Un compatriote vous a averti : pas possible de passer par l’une des innombrables infrastructures qui permettent de franchir rapidement les Alpes et se rendre en France, où vous attend votre cousine.

      En effet, les contrôles aux frontières ont été réinstaurés par l’Hexagone depuis 2015. Pour faire cela, la France a dû les justifier sur la base d’une « menace grave à l’ordre public » et de la « sécurité ». C’est le seul pays européen à les avoir mis en place sans interruption, depuis 2015.

      Dernière prolongation obtenue, celle qui couvrira la période allant du 1er mai au 31 octobre 2024, dont voici les raisons évoquées :

      « Les Jeux olympiques et paralympiques organisés en France durant l’été 2024, qui augmentent considérablement le risque pour la sécurité nationale, une menace terroriste intensifiée, l’attentat de Moscou du 22 mars 2024 revendiqué par l’État islamique, une pression migratoire constante aux frontières extérieures de l’espace Schengen, une augmentation significative des franchissements irréguliers notamment en provenance de Turquie et d’Afrique du Nord, une pression sur le système d’accueil. »

      Désormais, depuis donc 2015, les frontières sont surveillées et militarisées. Si vous choisissez de passer par l’un des postes-frontière officiels vous serez contrôlé, arrêté, puis expulsé en Italie. Il faut tenter par des passages alternatifs, par les chemins de montagne, vous suggère le même compatriote.
      Vous n’avez qu’un sac en plastique avec des papiers administratifs

      4 janvier 2024. Vous changez de train à Turin pour vous rendre à Oulx, dans le Val de Suse. Là, vous êtes accueilli une nuit au Rifugio Fraternità Massi, un lieu où vous pouvez dormir et manger.

      Des bénévoles vous donneront des habits adaptés pour la traversée via le col de Montgenèvre jusqu’à Briançon. Vous-même n’avez qu’un sac en plastique avec des papiers administratifs, une photo de votre mère et de vos sœurs et frères, un téléphone portable. Le reste, vous l’avez perdu durant votre long périple et vous n’avez évidemment pas de chaussures adaptées pour marcher dans la montagne.

      Au refuge, on vous recommandera les sentiers les moins dangereux si vous décidez de contourner le poste-frontière. Vous suivez les conseils. Vous vous mettez en marche, la nuit vers 2h du matin. Vous voyez en contrebas les lumières dans les maisons de vacances du village de Montgenèvre.

      Vous marchez depuis cinq heures dans le froid et la nuit. Vous avez souvent l’impression de refaire le même chemin plusieurs fois, et vous ne savez pas si vous êtes déjà en France ou encore en Italie. Soudain, vous voyez trois personnes en uniforme. Ils viennent vers vous et ils vous ordonnent de vous arrêter.

      Vous obéissez. Vous êtes amené au poste-frontière de Montgenèvre et là, sans vous poser aucune question, on vous donne un papier, un « refus d’entrée ». Après des formalités avec la police italienne, qui a pris vos empreintes digitales, vous êtes remis à la Croix-Rouge qui vous ramène à Oulx. La bénévole tient à vous dire que vous avez eu de la chance, que vous êtes passé « au bon moment », dans un moment dans lequel le droit semble enfin être respecté, mais elle ajoute : « Les règles et les pratiques aux frontières changent rapidement, on ne sait pas de quoi le demain sera fait ».

      Une procédure, dans ces conditions, illégale. Vous le savez maintenant que vous êtes arrivé à Grenoble, là où vous avez trouvé un refuge temporaire. Une bénévole d’une association vous a expliqué que ce changement est dû à un arrêt publié le 2 février 2024 par le Conseil d’État.

      C’est grâce à cette décision que le droit semble maintenant être respecté à la frontière haute alpine. En effet, une compatriote est passée par le même chemin que vous il y a quelques jours, et elle a pu se présenter au poste-frontière, expliquer aux gardes-frontière son intention de demander l’asile à la France et elle a ainsi pu continuer son chemin jusqu’à Briançon, en toute sécurité et sans peur d’être pourchassée dans les montagnes. La bénévole tient à souligner :

      « Les règles et les pratiques aux frontières changent rapidement, on ne sait pas de quoi le demain sera fait ».

      Avant cette date, les décisions des forces de l’ordre se fondaient sur une vague indication géographique ; et c’était cette interprétation de votre localisation dans l’espace qui comptait et décidait de votre sort.
      Une microgéographie cruciale

      Cette microgéographie importe bien plus qu’elle ne le semble, comme le montre un rapport récent de la Défenseure des droits. Cette dernière prend la forme d’une décision-cadre publiée en avril 2024 et portant sur la frontière franco-italienne dite « haute » (Montgenèvre/Hautes-Alpes) ainsi que sur celle dite « basse » (Menton/Alpes-Maritimes).

      C’est en se fondant sur des visites sur place – qui ont eu lieu à Montgenèvre et Briançon les 10 et 11 février 2022 et du 10 au 13 avril 2023 à Menton – et sur des décisions de justice que la Défenseure des droits a rendu sa décision cadre. Celle-ci permet ensuite à l’institution de régler un litige, préconiser des recommandations ou sanctionner.

      Dans ce cadre-ci, elle a constaté que les pratiques étaient non conformes au droit, notamment en analysant quel régime juridique est appliqué en cas d’interpellation des personnes dans ces régions frontalières.

      Les régimes qui les régissent ne sont pas les mêmes : le « régime frontière extérieure » ou le « régime territoire », selon que la personne est considérée comme ayant franchi la frontière, ou pas.

      Dans le premier cas, la décision porte sur la non-autorisation à accéder au territoire national. Dans le deuxième, les gardes-frontière estiment en revanche que la personne est bel et bien rentrée sur le territoire, mais qu’elle y séjourne de manière irrégulière. Si, dans le premier cas, elle se voit notifier un refus d’entrée, dans le deuxième, c’est une décision de renvoi selon la directive européenne dite « retour » qui s’applique et qui est légalement « autrement plus contraignante », comme l’affirme la Défenseure des droits.

      Il devrait pourtant être simple de juger si une personne se trouve sur le territoire national, il suffit de constater si elle est en deçà ou au-delà du tracé frontalier. La frontière est une ligne, croit-on. Oui, mais…
      Pourquoi la définition de col est problématique

      Ce que constate Madame Hédon, c’est que dans ces régions frontalières haute et basse, il y a une « imprécision du tracé » qui résulte en une « extension illégale de la frontière franco-italienne » (p.18).

      Prenons en exemple la mention de la notion géographique de « col » utilisée par les forces de l’ordre dans les Hautes-Alpes et qui donne lieu à des décisions de refus d’entrée. Si le Larousse la définit comme « Partie déprimée d’une crête montagneuse, utilisée comme passage » on ne peut que constater l’imprécision du terme quant au territoire qu’il est censé définir.

      Cette désignation, selon la Défenseure des droits, ne permet pas d’identifier précisément la zone d’interpellation, et notamment de savoir si les contrôles ont été effectués sur les points de passage autorisés (PPA), seuls endroits où des contrôles peuvent être conduits en vertu du Rétablissement des contrôles aux frontières intérieures en vigueur depuis 2015 en France.

      En dehors de ces points de passage ou « sur le trait de frontière intérieure entre deux PPA » (p.23), les personnes doivent être « considérées sur le territoire français » (p.23). Ainsi, et emblématiquement, la Défenseure des droits recommande d’« établir une liste de PPA précisément délimités, de transmettre les coordonnées géographiques de ces lieux à la Commission européenne et de la publier à l’échelle nationale par le biais du Journal officiel » (p.23).

      Voilà dans quelle imbrication juridique vous êtes tombé quand ces agents en uniforme vous ont sommé de montrer vos papiers ! Vous n’êtes pourtant pas la seule personne à qui l’on dit, et contre toute évidence, que vous ne vous trouvez pas sur le territoire national alors même que le GPS sur votre smartphone vous indique le contraire : Lat. 44°55’25.6"N, Lon. 6°42’20.8"E. Territoire français.
      Zones d’attente

      À quelques centaines de kilomètres de là – même topo, autre endroit où la France « joue » avec le tracé frontalier. Autre fiction juridique.

      C’est un ressortissant d’Amérique latine cette fois à qui cet agent de la police aux frontières dit de ne pas être sur le territoire français. Son avion a pourtant bien atterri à Roissy, et il a même déjà envoyé un petit message à sa conjointe pour l’en informer comme on l’entend dans le documentaire sonore signé Antoine Bougeard et Nausicaa Preiss.

      Mais les gardes-frontière l’ont amené dans « une zone d’attente », des lieux institués en 1992 avec la loi Quilès. Comme le rappelle Laure Blondel, co-directrice de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé), il s’agit de lieux dans lesquels sont enfermées les personnes qui demandent l’asile et celles qui parviennent à atteindre la frontière, mais dont l’accès au territoire est refusé car elles ne remplissent pas les conditions d’entrée ou sont suspectées d’être un « risque migratoire ».

      La loi Quilès préfigure la situation aujourd’hui à Montgenèvre ou à Menton, et qui est en train de se jouer dans le Pacte sur les migrations et l’asile dernièrement approuvé par les États membres de l’Union européenne. Des personnes « enfermées nulle part », comme le suggère le titre du récent documentaire sonore sur les zones d’attente, ou des « prisonnièr·e·s du passage », comme le propose la bande dessinée signée Chowra Makaremi et Matthieu Parciboula (2019).

      Que vous arrivera-t-il ?

      Qu’apprend-on de ces histoires ? On sait que depuis la mise en œuvre de la Convention sur les réfugiés signée en 1951, prétendre à une protection exige deux conditions : être sorti du pays dans lequel la persécution a lieu et se trouver physiquement sur le sol du pays où on demande la protection. On en déduit donc que l’accès au territoire permet l’accès aux droits.

      L’enjeu est donc éminemment géographique en plus d’être juridique. Comme l’a si bien démontré le juriste Bastien Charaudeau Santomauro, à la frontière franco-italienne l’on peut observer « un bricolage du droit », qui passe aussi (avant tout ?) par un bricolage de la définition même des frontières.

      En effet, depuis désormais plus de 30 ans, les États trouvent des astuces afin de créer des « fictions juridiques », c’est-à-dire, décaler le tracé frontalier et créer des zones d’extraterritorialité ou plutôt, comme l’écrit Bastien Charaudeau Santomauro, d’« a-territorialité », c’est-à-dire, des zones qui limitent – voire empêchent – l’accès aux droits.
      Vous marchez plus de dix heures dans la neige

      Ainsi, quand la bénévole vous explique ce changement de pratiques à la frontière, intervenu après la décision du 2 février par le Conseil d’État, vous vous dites que vous auriez dû bénéficier du droit à l’asile directement à la frontière, au lieu d’être renvoyé à Oulx.

      Pour vous, les choses ont été différentes. Après avoir la traversée, après avoir dormi à nouveau au Refuge Fraternità Massi, vous avez repris le bus, et puis continué à pied. Vous croisez d’autres personnes, hommes, femmes et enfants, qui ont fait ce trajet, vous ont-ils dit deux, trois, quatre… huit fois.

      Vous voulez éviter tout risque d’être contrôlé. Alors, vous avez pris un chemin très haut dans la montagne, tant pis s’il a fallu marcher plus de dix heures dans la neige qui vous arrive à la hauteur de votre bassin. Vous êtes épuisé, gelé, et très désorienté.

      Au petit matin vous arrivez enfin à Briançon, et vous êtes accueilli quelques jours au Refuge solidaire. C’est là qu’on vous dit de vous rendre en Préfecture pour déposer votre demande d’asile, maintenant que vous êtes effectivement sur le territoire. Vous mesurez l’absurdité de l’administration… Pour exercer votre droit de demander une protection à la France, vous avez finalement dû éviter les agents normalement en charge d’appliquer le cadre légal et qui vous permettent de le faire en sécurité.

      https://theconversation.com/migrations-a-la-frontiere-franco-italienne-comment-la-loi-est-utili

    • Frontières : des « fictions juridiques » pour esquiver le droit international

      Une « fiction juridique » : c’est ainsi que la Défenseure des droits a qualifié en avril dernier le stratagème que la France a mis en place à sa frontière avec l’Italie. Depuis 2015, l’administration a ainsi esquivé le droit international et décidé d’une politique de refoulement systématique des personnes exilées. Un procédé qui s’est accompagné de nombreux dénis de droits envers ces dernières.

      ram05 a recueilli sur ce sujet les éclairages d’une enseignante-chercheuse et géographe.
      Dans quel cadre se déroulent les contrôles aux frontières ?

      La Défenseure des droits en rappelle l’historique dans sa décision-cadre rendue fin avril 2024. Il s’agit d’un rapport sur les pratiques des forces de l’ordre à la frontière franco-italienne, résultant d’une instruction menée entre 2022 et mars 2024. Le document est très sévère envers l’administration et conclut à de nombreuses atteintes aux droits des personnes interpellées à la frontière franco-italienne.

      Pour résumer, le principe de base à l’intérieur de l’Union Européenne est la libre circulation, quelque soit la nationalité des personnes. Mais une exception est possible : un pays peut demander à l’UE un rétablissement des contrôles à ses frontières, « en dernier recours », et « en cas de menace grave pour l’ordre public ou la sécurité intérieure ».

      La France a enclenché cette procédure le 13 novembre 2015, jour des attentats en Île-de-France, pour lutter contre la menace terroriste. Depuis, elle la renouvelle tous les 6 mois.

      Ces contrôles restent toutefois encadrés par le droit, rappelle Cristina del Biaggio, enseignante-chercheuse et géographe à l’Université Grenoble Alpes.

      Ces contrôles aux frontières ne doivent pas s’apparenter à des contrôles systématiques ou des contrôles au faciès.

      « À partir de 2015, la France a demandé une dérogation du code frontière Schengen, dans lequel elle a demandé de pouvoir rétablir des contrôles frontières. Mais ceux-ci ne doivent pas s’apparenter à des contrôles systématiques aux frontières.

      Dans ce cadre-là, la France a dû envoyer une liste des points de passage autorisés à l’Union européenne, et dans cette liste-là, il y a des endroits précis, des lieux précis, pour lesquels les forces de l’ordre ont le droit de faire des contrôles et des interpellations de personnes qui passent la frontière, et de pouvoir demander les raisons pour lesquelles les personnes passent la frontière.

      Mais ils ne doivent pas, encore une fois, s’apparenter à des contrôles systématiques aux frontières ou des contrôles au faciès », retrace Cristina del Biaggio.

      Un rétablissement des contrôles aux frontières, d’accord, mais dans des lieux précisément identifiés et pas de manière systématique.
      La France a-t-elle respecté ces contraintes ?

      Non, a observé la Défenseure des droits. Celle-ci mentionne d’une part des « contrôles systématiques et sans limitation de durée », ce qui est donc contraire au droit.

      Mais surtout, la Défenseure des droits signale une « imprécision du tracé » et une « extension illégale » de la frontière franco-italienne.

      Ainsi, les PPA, points de passages autorisés, dans les Hautes-Alpes, sont définis notamment comme les cols de Larche, Agnel, de l’Échelle et de Montgenèvre, la notion de col étant particulièrement « imprécise » et permettant donc des contrôles dans une zone trop large. La décision-cadre recommande d’établir des PPA « précisément délimités » et de communiquer leurs « coordonnées géographiques ».

      L’administration est également pointée du doigt pour une autre pratique : considérer que les personnes interpellées ne se trouvent en fait pas sur le territoire français, et leur notifier un « refus d’entrée ».

      On retrouve Cristina del Biaggio.

      La France trouve des stratagèmes pour faire comme si la personne n’était jamais arrivée sur le territoire.

      « Dans une espèce de ce que les juristes appellent une « fiction juridique », la France trouve des moyens, des fictions, des stratégies, des stratagèmes pour faire comme si la personne n’était jamais arrivée sur le territoire.

      D’ailleurs, cette décision s’appelle « refus d’entrée », ce qui montre bien que la personne n’est pas encore considérée comme étant entrée sur le territoire, comme ayant mis physiquement les pieds sur le territoire.

      Donc on refuse d’entrer à des personnes à qui on devrait donner la possibilité de rentrer pour notamment demander une protection et donc l’asile », expose l’universitaire.
      La France respecte-t-elle le droit international ?

      En théorie chaque État doit garantir l’application du droit international et du droit d’asile sur son territoire.

      « En gros, dès qu’une personne accède physiquement à un territoire, qu’elle pose ses pieds sur un territoire, cette personne peut faire valoir des droits, et notamment le droit de demander une protection au titre de l’asile.

      Les États, donc la France aussi, doit garantir que ces droits soient respectés », rappelle Cristina del Biaggio.

      Le raisonnement est donc simple : « vu que l’entrée sur le territoire garantit des droits, on fait semblant que la personne n’est pas entrée sur le territoire pour ne pas avoir à lui donner accès à ces droits », résume l’universitaire.

      Cette sorte d’entre-deux, de zone grise au bord de la frontière, constitue un « détournement » du droit, estime la Défenseure.

      Depuis la publication de ce rapport, les pratiques des forces de l’ordre à la frontière ont cependant évolué vers un meilleur respect des droits des personnes exilées, a constaté l’association Tous Migrants. Nous vous en parlions dans Le Forum Hebdo du 17 mai 2024.
      Ce stratagème existe-t-il aussi ailleurs ?

      La France, décidément, est avant-gardiste sur le sujet, relate Cristina del Biaggio.

      La France a été une pionnière de ces fictions juridiques et territoriales, avec la création des zones d’attente dans les aéroports.

      « La France, déjà, a été une des pionnières dans la création de ces fictions juridiques et/ou fictions territoriales, notamment avec la création des zones d’attente dans les aéroports. Si je ne me trompe pas, c’était 1992. C’est toujours le même principe : la France décide qu’il y a certaines zones sur son territoire qui ne sont pas considérées vraiment comme faisant partie du territoire.

      Il y a des chercheurs qui parlent aussi de « a-territorialité », pour dire que la France fait semblant que ces zones-là ne sont pas des zones qui appartiennent à son territoire », détaille la géographe.

      Et des exemples d’État qui s’amputent d’une partie de leur territoire pour ne pas avoir à y appliquer le droit, il en existe plusieurs à travers le monde.

      Un exemple assez éclatant a été décidé en 2001 en Australie, c’est ce que cet État appelle « l’excision territoriale »de ses côtes nord.

      « C’est le cas par exemple à la frontière entre l’Espagne et le Maroc, à Melilla, enclave espagnole sur le territoire marocain. L’Espagne a construit une barrière frontalière qui est en fait une triple barrière, trois grillages successifs parallèles dans l’espace qui créent une espèce de zone. l’Espagne a décidé que la zone justement qui se trouve entre les trois barrières n’est pas considérée comme étant territoire espagnol. Donc ça veut dire que la personne qui arrive à traverser un grillage qui se trouve dans cette zone entre les trois grillages n’est pas vraiment considérée comme étant sur le territoire espagnol. Et donc les forces de l’ordre les renvoient de l’autre côté, ce qui est encore une fois interdit par le droit international.

      C’est la même chose avec la Hongrie qui a créé une espèce de bande frontalière d’une largeur de 8 km à l’intérieur de son territoire où elle a décrété que ce n’est pas vraiment la Hongrie.

      Et je pense qu’un exemple assez éclatant a été décidé en 2001 en Australie, c’est ce que cet État appelle « l’excision territoriale ». L’Australie a décidé que ses côtes nord n’étaient pas vraiment son territoire et que les personnes qui arrivaient par bateau n’avaient aucun droit une fois débarquées sur la côte. Ils appellent ça « l’excision territoriale », ils enlèvent une partie du territoire de leur propre territoire », énumère Cristina del Biaggio.

      https://ram05.fr/frontieres-des-fictions-juridiques-pour-esquiver-le-droit-international

  • Débat sur la violence des jeunes : « La répression est une idée populaire, mais c’est un échec »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/04/24/debat-sur-la-violences-des-jeunes-la-repression-est-une-idee-populaire-mais-

    Face à la description de la « violence déchaînée, morbide, sans règle » de certains jeunes, le 18 avril, par le premier ministre, les historiens que nous sommes proposent d’inscrire un nouveau chapitre au programme d’éducation civique qui lui tient tant à cœur. Il s’intitulerait : « La #justice des #enfants ou la longue histoire d’une addiction à la sanction ». Il permettrait de raconter à nos écolières et nos écoliers comment, depuis le XIXe siècle, ses prédécesseurs ont fait face au « fléau de la #délinquance_juvénile » décrite comme « toujours plus violente, plus nombreuse, plus précoce » (Le Petit Journal, 1907). Les élèves découvriraient sans doute avec surprise que ses propositions s’inscrivent dans une fascinante continuité, qu’elles ont été maintes fois appliquées et qu’à l’épreuve des faits leur efficacité est discutable.

    Le chapitre débuterait en 1810. On ouvrirait ensemble le code pénal de Napoléon (empereur peu réputé pour son laxisme), et les élèves liraient dans ses articles la volonté de ne plus juger un enfant comme un adulte, la nécessité de pouvoir l’excuser du fait de sa minorité. Ils observeraient aussi que, sans doute effrayé par sa propre hardiesse, le législateur impérial s’assure néanmoins que tout enfant capable de marcher et de voler une pomme puisse être envoyé en prison ordinaire.
    L’histoire se poursuivrait avec une analyse de la loi de 1850 « sur le patronage des #jeunes_détenus », censée répondre à l’échec de la #prison. Les députés républicains considèrent alors que le gamin de Paris, le petit vagabond, l’enfant de parents ouvriers – souvent décrits comme abrutis de travail et viciés par l’alcool – doit bénéficier d’une correction avant de « tomber dans la délinquance », pour reprendre les mots de M. Attal. Selon eux, pour le redresser, il est nécessaire de le placer en #internat_disciplinaire, loin de la ville et d’une famille défaillante, afin de le remettre sur le bon chemin.

    Malgré les rapports parlementaires dénonçant le coût de ces institutions, leur violence et le niveau élevé de récidive des jeunes placés, ces « colonies agricoles pénitentiaires » fleurissent. La France est inquiète ! Des bandes de jeunes gens cruels font régulièrement la une de la presse à grand tirage, et les statistiques, déjà, sont formelles : « De 16 à 20 ans le nombre de jeunes délinquants quadruple » (Le Temps, 1899) ; « Inquiétante augmentation de près de 50 % d’enfants délinquants en vingt ans » (Le Journal, 1901).

    Accompagnement social des mineurs

    Le cours aborderait ensuite les temps bouleversés du début du XXe siècle. En 1912, une nouvelle loi a le courage de considérer que l’accompagnement social des mineurs délinquants est une priorité. Elle n’aura ni les moyens ni le temps d’être appliquée, la Grande Guerre ravivant les angoisses d’une dérive de la jeunesse.
    Néanmoins, l’hécatombe de 14-18 modifie en profondeur le regard des Français sur l’enfermement et la peine. Les élèves liraient alors, médusés, que la presse en vient à se scandaliser du sort réservé aux jeunes délinquants dans les « bagnes d’enfants », certains allant même jusqu’à reprendre les mots d’un poète, Jacques Prévert, dénonçant la « chasse à l’enfant ». Soudain, il serait presque possible de croire que le temps de la jeunesse doit être une promesse.

    Nous pourrions poursuivre avec le second conflit mondial. La France occupée puis libérée, souvent grâce à la fougue de jeunes héros ; un hiver 1945 rude amenant son lot de destructions, de violences, de marché noir, et une explosion de la délinquance juvénile. La France peut alors compter sur l’autorité du général de Gaulle, et c’est bien sa signature qu’ils découvriront au bas du préambule de l’ordonnance du 2 février 1945 « relative à l’enfance délinquante ».

    Nous croiront-ils quand nous expliquerons que ce texte fait primer l’éducation sur la sanction ? Que la prison doit être l’exception ? Parviendrons-nous à faire admettre que l’article 17 expose alors que les mineurs « ne pourront faire l’objet que de mesures de protection, d’éducation ou de réforme, en vertu d’un régime d’irresponsabilité pénale » ? [principe jamais appliqué ; quant à l’éducation... ndc] Rapidement, nous devrons ajouter, pour être précis, que cette ordonnance prévoyait des dérogations, laissant la possibilité aux juridictions de lever l’excuse de minorité. Sans oublier que la peine de mort fut applicable aux mineurs jusqu’en 1981.

    Justice spécifique

    Enfin, il serait temps de conclure. Nous pourrions alors évoquer ce texte fondateur qu’est la Convention internationale des droits de l’enfant (1989), sanctuarisant une justice spécifique pour les #mineurs et l’inscrivant dans un ensemble de droits protecteurs et émancipateurs. Il faudrait des trésors d’imagination pédagogique pour expliquer comment cette apothéose des droits se transforme en véritable feu d’artifice de mesures répressives en France : lois, circulaires, ordonnances affirmant la « fermeté » des pouvoirs publics, création de foyers renforcés (1998) puis fermés (2002), construction d’établissements pénitentiaires pour mineurs (2002), levée de l’excuse de minorité pour les 16-18 ans en état de récidive (2007), peines plancher (2007), tribunaux correctionnels pour mineurs (2010), mise à l’épreuve éducative (2024)…

    La leçon se terminerait, et peut-être qu’un doigt se lèverait pour nous demander : mais alors, si les politiques affirment que la violence des jeunes ne cesse d’augmenter, c’est peut-être que toutes ces punitions ne fonctionnent pas ? Pourquoi continuer ?

    La répression est une idée populaire, mais c’est un échec. Pas tant parce que les jeunes seraient d’incorrigibles criminels biberonnés à la violence, mais parce que la sanction brute se fait toujours prophétie créatrice : elle fragilise des jeunes et leurs familles déjà vulnérables, elle sape le travail social et éducatif censé les aider à sortir de la délinquance. Et si, pour une fois, nous avions l’audace de mettre en application les réformes progressistes votées depuis plus de deux cents ans ?

    La supposée crise de l’autorité que nous traversons ne prend pas racine dans un affaiblissement des institutions. Bien loin d’un « réarmement civique » martial, c’est en conférant aux jeunes liberté, égalité et, in fine, pouvoir d’agir que nous les rendrons maîtres de leur propre destin, artisans de la paix sociale dans un monde qu’ils estiment plus juste et solidaire. En somme, sevrons-nous de l’autoritarisme en pensant l’émancipation de la jeunesse.

    Véronique Blanchard est historienne, enseignante-chercheuse à l’université d’Angers (Temos) ; David Niget est historien, enseignant-chercheur à l’université d’Angers (Temos). Ils sont tous les deux spécialistes de l’histoire de l’enfance, de la jeunesse et de la justice.

    #colonies_pénitentaires et aujourd’hui, outre les #CJD, les #établissements_pénitentiares_pour_mineurs, les #centres_éducatifs_fermés

    • Christian Mouhanna, sociologue : « En dépit de dramatiques faits divers, le nombre de mineurs auteurs de délits baisse »
      TRIBUNE
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/04/24/christian-mouhanna-sociologue-en-depit-de-dramatiques-faits-divers-le-nombre

      Une fois de plus revient sur le devant de la scène politique et médiatique le thème des #mineurs_délinquants, qui seraient de plus en plus jeunes et de plus en plus violents. Premier ministre, ministres, préfets et syndicalistes policiers reprennent tous cette assertion pour désigner une menace qui viendrait fragiliser la tranquillité et la cohésion de la société.

      L’actualité, il est vrai, invite les responsables à réagir : les meurtres de Grande-Synthe (Nord), Romans-sur-Isère (Drôme) ou Viry-Châtillon (Essonne) et l’agression de Montpellier, lors des deux premières semaines d’avril, choquent l’opinion publique. Faut-il pour autant en conclure que nous avons affaire à un phénomène de masse, accentué par les réseaux sociaux et la perte du sens de l’autorité et du devoir parmi les plus jeunes ? Sans minimiser l’émotion légitime suscitée par ces événements, on peut néanmoins observer que les chiffres disponibles ne confirment pas cette impression.

      Les statistiques des tribunaux nous montrent en effet une baisse notable des mineurs auteurs de délits. Ceux qui sont orientés vers les alternatives aux poursuites, sanctions qui concernent les cas les moins graves, ont diminué de 40 % entre 2018 et 2022. Quant aux faits plus graves, qui font l’objet d’une orientation devant les juges des enfants ou les juges d’instruction, ils baissent de 33 % sur la même période. Globalement, le nombre de mineurs condamnés n’a cessé de diminuer depuis 2017. Et ils représentent toujours une infime minorité des auteurs de meurtres ou tentatives de meurtre.

      Durcissement des lois

      On pourrait objecter qu’il s’agit là d’un effet du « laxisme »
      judiciaire dénoncé par certains, mais en ce qui concerne les majeurs, les condamnations et les incarcérations ont augmenté entre 2018 et 2022. Si l’on regarde les établissements pénitentiaires , ceux qui sont réservés aux mineurs – établissements pour mineurs et quartiers mineurs des prisons – affichent un taux d’occupation de « seulement » 60 % fin 2023, alors qu’il dépasse les 145 % dans les maisons d’arrêt pour majeurs. Et beaucoup de ces jeunes incarcérés (56 %) sont en détention provisoire, en attente de jugement. La baisse du nombre de mineurs sanctionnés par l’appareil judiciaire est d’autant plus remarquable que la période considérée se caractérise par un durcissement des lois visant les comportements jugés inappropriés ou incivils des jeunes, notamment dans l’espace public.
      Bien entendu, ces chiffres ne viendront pas consoler la peine des proches des victimes de ces actes. Ils viennent seulement interroger ceux qui instrumentalisent ces faits divers terribles pour en tirer des leçons sur les évolutions de la société et en faire le terreau de politiques prônant davantage de sanctions. Ces derniers ignorent, ou font semblant d’ignorer, que les lois pénalisant les mineurs n’ont cessé de se multiplier depuis le milieu des années 1990, et jusque très récemment.

      Le nouveau code de la justice pénale des mineurs est entré en vigueur le 30 septembre 2021, réformant l’ordonnance du 2 février 1945 relative à l’enfance délinquante. C’est la quarantième fois que ce texte, à l’origine fondé sur un équilibre entre éducation et sanction, est modifié. Depuis 2002 et les #lois_Perben, une orientation toujours plus répressive n’a cessé de s’imposer à une justice des mineurs par ailleurs de moins en moins bien dotée en moyens matériels et humains. Cette sévérité renforcée n’a pourtant pas apaisé les discours punitifs. Depuis le début des années 2000, les ministres de l’intérieur successifs reprennent la rengaine des « mineurs délinquants de plus en plus jeunes et de plus en plus violents », alimentant un discours anxiogène sur le déclin supposé de nos sociétés.

      Ce discours n’est ni neuf ni étayé par des résultats scientifiquement prouvés, bien au contraire. Toute réflexion s’appuyant sur les nombreux rapports disponibles dans les ministères ou les assemblées législatives, sans parler des laboratoires de recherche et les universités, est écartée au profit d’une #réaction immédiate, sans mise en perspective.

      Au lieu de replacer ces événements dans un cadre plus large, les discours n’hésitent pas à monter en généralité à partir de faits divers certes réels, mais qui ne reflètent pas une situation d’ensemble. Et dans ce cadre du court terme, les solutions proposées ne sont pas le fruit d’une réflexion approfondie : on ressort sans cesse la menace de sanctions plus dures, sans évaluation et sans attendre les effets éventuels des précédents textes votés.

      Stratégie politique

      Dans une période où les fake news et les discours populistes et démagogiques sont dénoncés, il est dommage de voir un gouvernement prétendument réaliste sombrer, pour des raisons de stratégie politique, dans les mêmes travers que les pires idéologues fascinés par la punition des plus faibles. Car les mineurs sont aussi parmi les plus touchés par les homicides intrafamiliaux.

      Si le nombre de mineurs auteurs de délits baisse, en revanche celui de ceux qui sont pris en charge au titre de l’enfance en danger s’est accru. Il représente 72 % de l’activité des juridictions pour mineurs. A l’heure de la disparition de la Commission indépendante sur l’inceste et les violences sexuelles faites aux enfants, il serait peut-être important de remettre ces résultats en perspective et de s’interroger sur le « processus de décivilisation » à l’œuvre, selon le président de la République dans son discours de mai 2023.

      S’agit-il d’un processus dont serait responsable une jeunesse spontanément ancrée dans la violence, ou bien du résultat de choix politiques peu cohérents ? Les cadres politiques actuels auront-ils le courage de leurs prédécesseurs de 1945, pour qui l’enfance délinquante était un défi qu’il fallait relever en donnant plus de moyens à l’éducatif ? Ou se contenteront-ils de continuer à tenter – inutilement – de se construire une légitimité fondée sur la peur et sur leur volonté d’y apporter une réponse par une sévérité accrue ?

      Christian Mouhanna est sociologue, chercheur au CNRS et au Centre de recherches sociologiques sur le droit et les institutions pénales (Cesdip), où il étudie les organisations policières, la justice pénale et le milieu carcéral.

    • Enfants en danger : l’embolie des services chargés de leur protection provoque des situations dramatiques
      https://www.lemonde.fr/police-justice/article/2022/05/11/la-protection-de-l-enfance-en-danger-confrontee-a-une-nouvelle-degradation_6

      La mise en œuvre des décisions de justice censées protéger les mineurs maltraités ou délaissés intervient avec des retards croissants, provoquant des situations dramatiques.

      https://justpaste.it/bg1y7

      #enfance

    • Délinquance des mineurs : « Les effectifs des éducateurs de rue sont devenus une variable d’ajustement économique », David Puaud, Anthropologue

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/04/24/delinquance-des-mineurs-les-effectifs-des-educateurs-de-rue-sont-devenus-une

      « Je vous le dis, la culture de l’excuse, c’est fini. » C’est avec cette ritournelle sécuritaire que le premier ministre, Gabriel Attal, a annoncé, jeudi 18 avril à Viry-Châtillon (Essonne) une série de mesures visant à lutter contre la violence d’une partie de la jeunesse. Ce discours à l’accent frontiste a réamorcé les vieilles antiennes de l’internat éducatif, de l’autorité à l’école ou de la responsabilisation des parents.

      La remise en cause par Gabriel Attal de l’« excuse de minorité », établie dans le code de la justice pénale des mineurs et dont le principe est consacré par le Conseil constitutionnel, vise une nouvelle fois à privilégier l’aspect répressif par rapport à la prévention et à la protection de l’enfance.

      Et pourtant, de nombreuses études attestent que la prévention et la protection sont essentielles à l’expérience de la citoyenneté et à la remédiation sociale de sujets en voie de marginalisation. A l’été 2023, après la mort de Nahel M. à Nanterre, la France avait été secouée par onze jours de violences urbaines. Au cœur de cette période de turbulences, les plus importantes depuis celles de novembre 2005, des éducateurs de prévention spécialisée, dits « éducs de rue », ont été en première ligne dans de nombreux quartiers populaires.

      Ces « fantassins du travail social », tels que les nomma Pierre Bourdieu dans La Misère du monde (Seuil, 1993), ont pour mission principale de travailler avec des jeunes en situation de marginalité plus ou moins avancée. Soumis à des principes d’intervention fondés sur la libre adhésion, l’anonymat et le secret professionnel, ils favorisent l’inclusion sociale de jeunes en situation de disqualification sociale et/ou préviennent les processus de désaffiliation sociale.

      Désengagement économique

      En 2021, la ministre déléguée chargée de la ville Nadia Hai avait recruté 600 « adultes-relais » au sein de « bataillons de la prévention » dans 45 quartiers prioritaires, 300 médiateurs et 300 éducateurs spécialisés afin de tisser un « filet de protection contre la délinquance de la ville ». On compte aujourd’hui en France environ 4 000 de ces éducateurs de rue, mais déjà en sous-effectifs, ils sont devenus dans de nombreux territoires de l’Hexagone une variable d’ajustement économique.

      Parce que son financement reste facultatif, des départements se désengagent de cette compétence, alors même qu’elle relève de l’aide sociale à l’enfance, dont ils sont responsables. Ainsi, le 29 mars, le conseil départemental de la Vienne a entériné une baisse de 250 000 euros de la dotation annuelle allouée aux services de prévention spécialisée de l’association départementale de sauvegarde de l’enfance et de l’adolescence, tout en accordant une subvention de 190 000 euros pour le passage de la flamme olympique. Cette coupe budgétaire entraîne la suppression de cinq postes d’éducateurs dans des quartiers de Poitiers et Châtellerault touchés par les émeutes de l’été 2023. Ainsi, environ quatre cents enfants et familles ne seront plus accompagnés socialement par ces éducateurs de proximité.

      En 2022, le département de l’Ardèche avait annoncé la fin de ses financements en direction de la prévention spécialisée, avant de faire machine arrière et de réduire de moitié la baisse de subvention, en appelant d’autres collectivités à les compléter. A Cognac, le service de prévention spécialisée a disparu à la suite de la non-reconduction de la convention avec l’association socio-éducative locale chargée de cette mission. A Perpignan, huit des douze éducateurs des bataillons de la prévention ont été menacés de licenciement en 2024, et l’incertitude reste de mise pour 2025.

      Equations à inconnues multiples

      Dans de nombreux autres territoires de la République, les services sociaux de proximité sont régulièrement soumis à des équations budgétaires aux multiples inconnues. En effet, les injonctions sécuritaires se sont immiscées au cœur de l’éducatif dans la rue. Certaines équipes sont désormais municipalisées. D’autres, comme celles des bataillons, relèvent des préfectures. La majorité est rattachée aux conseils départementaux qui devraient leur garantir un cadre d’action structuré au sein de la protection de l’enfance. Pourtant, toutes se retrouvent au cœur d’enjeux politico-financiers locaux et nationaux.

      Ces professionnels attachés historiquement au secteur de la protection de l’enfance, dont la mission est d’« aller vers » des jeunes en situation de marginalisation, ont besoin de pérennité et d’engagement à long terme. Dans nos enquêtes menées ces dernières années sur les processus de violence et sur la prévention de la radicalisation, nous constatons que ces spécialistes contribuent à prévenir des situations dramatiques et à rétablir des liens entre les habitants des quartiers populaires et les institutions républicaines. La temporalité de leurs « terrains » est différente de celle du financeur, soumis aux aléas du politique à court terme.

      Force est de constater, malheureusement, que la montée de l’extrême droite et les enjeux électoraux à court et moyen terme ne laissent guère de place à la narration des résultats pourtant probants des actions de prévention qui se jouent sur le long terme.

      Cette cécité à l’égard des acteurs sociaux de proximité renforce la marginalisation d’une partie de nos concitoyens dans les zones dites pourtant « prioritaires ». Colette Pétonnet, pionnière de l’anthropologie urbaine, qualifiait en 1975 de catégorie sacrifiable ces « gens unanimement désignés comme marginaux, asociaux, inadaptés, ou handicapés, suggérant qu’ils sont à la société contemporaine ce que les pharmakoi étaient aux Athéniens, c’est-à-dire à la fois le mal et le remède ». A renier ainsi une partie de la population devenue « victime-émissaire », l’histoire nous raconte que nous en paierons comptant les conséquences sociétales.

      David Puaud est anthropologue au sein du Laboratoire d’anthropologie politique (CNRS-EHESS) et chargé d’enseignement à Sciences Po Paris (campus de Poitiers). Il a notamment écrit « Les Surgissants. Ces terroristes qui viennent de nulle part » (Rue de Seine, 2022) et « Un monstre humain ? Un anthropologue face à un crime sans mobile » (La Découverte, 2018).

    • Comme le souligne l’historienne, Véronique Blanchard, au sortir de la Seconde Guerre mondiale, l’État a eu besoin de « forces vive » et a mis en place de nouvelles modalités de contrôle de la jeunesse, via l’ordonnance de 1945. L’étude des donnés statistiques concernant la population envoyées dans les colonies agricoles et industrielles montre que le nombre d’enfants détenus en ces lieux diminua à partir du moment où la législation prolongea l’âge de l’enseignement scolaire obligatoire. Il y a donc transfert de l’exercice du contrôle de la jeunesse, des structures répressive vers l’Éducation nationale. Ce temps scolaire, comme a pu l’être par le passé le service militaire, a pour objectif que le jeune devienne ce que la société attend de lui afin que le fonctionnement du pouvoir puisse perdurer.

      Milot L’incorrigible. Parcours d’un jeune insoumis à la Belle Époque, Collectif l’Escapade. Niet ! éditions.

    • 100 années d’éducation spécialisée mises à la poubelle. C’est ça, ça fait plus d’un siècle qu’on réfléchit à ces questions pour sortir de l’horreur autoritariste imposée par les bourgeois du XIXe… et ces salopards considèrent que rien de tout cela n’existe.

  • Radio Canada Des tests de paternité vendus au Canada qui identifiaient le mauvais père D’après des renseignements fournis par Jorge Barrera, de CBC News

    « [Nos tests de paternité prénataux] n’étaient pas si fiables », admet à la caméra cachée le propriétaire de la compagnie Viaguard Accu-Metrics, de Toronto, qui a vendu de tels tests d’ADN en ligne pour 800 $ à 1000 $ de 2014 à 2020, selon une enquête de CBC.

    Harvey Tenenbaum, qui dirige toujours le laboratoire de Toronto à l’âge de 91 ans, a confié à la caméra cachée d’un journaliste de CBC qui se faisait passer pour un client, qu’il se « méfie de ce test maintenant ».

    Grâce à un kit maison visant à prélever quelques gouttes de sang de la femme enceinte et un échantillon buccal d’ADN de l’homme, le test devait permettre de confirmer l’identité du père avant la naissance de l’enfant.


    À la caméra cachée, M. Tenenbaum admet toutefois que le test a produit des résultats erronés au fil des années.

    C’est arrivé. Un père blanc se fait tester et le bébé est noir.
    Une citation de Harvey Tenenbaum, propriétaire du laboratoire

    À la caméra cachée, M. Tenenbaum se dit conscient des conséquences possibles d’une erreur : “Si on identifie le mauvais père, la mère peut avoir un avortement.”

    Questionné par CBC, il assure publiquement que les tests étaient, au contraire, « précis » et « parfaits ». Il a cessé de les vendre, ajoute-t-il, parce que l’un des éléments était devenu trop coûteux.

    La vie chamboulée d’une mère
    “Je hais le nom Viaguard”, lance Corale Mayer, 22 ans, de North Bay, en Ontario.

    Lorsqu’elle est tombée enceinte en 2019, à l’âge de 19 ans, elle n’était pas sûre de qui était le père et a commandé un test de Viaguard, renvoyant ensuite les échantillons demandés par la poste.

    Un premier test erroné de la compagnie, raconte-t-elle, lui a fait croire que le père n’était pas l’homme avec qui elle était. Un deuxième test, lui aussi erroné a-t-elle appris après la naissance de sa fille, indiquait que le père était plutôt un autre homme, qui ne voulait rien savoir d’avoir un enfant.

    Ça a été extrêmement traumatisant.
    Une citation de Corale Mayer, mère

    Elle a lancé un groupe dans les médias sociaux qui compte des dizaines d’autres personnes qui soutiennent que leur vie a aussi été chamboulée par des tests de paternité erronés de Viaguard.

    La faute du test ?
    Sika Richot a travaillé comme réceptionniste pour Viaguard durant près de trois mois en 2019.

    Elle soutient que le laboratoire lui demandait de questionner les femmes qui commandaient un test de paternité sur leur cycle menstruel et sur les dates auxquelles elles avaient eu des relations sexuelles avec les différents pères possibles, des questions qui n’ont rien à voir avec un test d’ADN.

    Le personnel compilait ensuite ces renseignements dans un cycle d’ovulation pour réduire le nombre de pères potentiels, affirme Mme Richot. “[Tenenbaum] allait toujours dire : ’’Celui-ci est le père biologique, c’est certain’’”, soutient-elle.


    M. Tenenbaum laisse entendre, lui, que les clients sont responsables des résultats erronés, en raison d’une mauvaise collecte des échantillons. “On a fait des milliers de tests et la moitié des erreurs venaient de la collecte”, dit-il.

    Le Dr Mohammad Akbari, directeur de recherche au laboratoire de génétique moléculaire de l’Hôpital Women’s College, à Toronto, affirme que le genre de test que Viaguard disait utiliser est fiable normalement, mais qu’il faut plus que quelques gouttes de sang de la mère pour confirmer l’ADN du fœtus.

    Il faut au moins 10 ml de sang d’une veine de la mère pour un test adéquat.
    Une citation de Le Dr Mohammad Akbari, expert dans les tests d’ADN

    Dans certains cas, comme l’illustre une poursuite contre Viaguard en Californie, les clients devaient se rendre à un laboratoire pour le prélèvement de sang. Cette poursuite s’est conclue par un règlement à l’amiable.

    Santé Canada indique par courriel qu’elle ne réglemente pas les tests commerciaux d’ADN comme ceux de Viaguard.

    La compagnie n’offre plus de tests de paternité prénataux, mais continue à vendre des tests d’ADN postnataux, tout comme des tests pour déterminer la race des chiens, notamment.

    D’après des renseignements fournis par Jorge Barrera, de CBC News

    #ADN #Tests #identité #enfants #fœtus #laboratoires #maternité #paternité #femmes #hommes #famille #médecine #génétique

  • A Gaza, une guerre particulièrement dévastatrice pour les #enfants
    https://archive.ph/2024.04.05-101318/https://www.lemonde.fr/international/article/2024/04/05/a-gaza-la-guerre-que-mene-israel-est-particulierement-devastatrice-pour-les-

    Environ 40 % des plus de 33 000 Palestiniens tués à Gaza depuis le 7 octobre 2023 sont des enfants. En six mois, les bombes israéliennes qui dévastent le petit territoire assiégé, les combats, les tirs des snipers de l’armée et, désormais, la famine imminente en ont tué davantage que quatre ans de conflits partout ailleurs dans le monde

  • Espagne : des jeunes migrants se déclarant mineurs incarcérés pour avoir conduit des canots

    En Espagne, les cas de jeunes migrants se disant mineurs enfermés dans les prisons du pays pour avoir piloté des canots se multiplient, à mesure que les arrivées irrégulières augmentent. Les adultes, eux aussi, subissent le même sort. Comme en Grèce et au Royaume-Uni, deux États qui incarcèrent également des exilés vus à la barre d’un canot, les associations et les militants espagnols estiment que le gouvernement se trompe de cible.

    B.C. a quitté la prison de Las Palmas, sur l’île de Grande Canarie, jeudi 14 mars. Le jeune Sénégalais de 17 ans, accusé par la justice d’être un passeur pour avoir conduit un canot de migrants, était incarcéré dans ce centre pour adultes depuis presque trois mois.

    Quelques heures plus tôt, le tribunal avait ordonné sa libération en raison de son âge. « Les conclusions [de l’examen] médico-légal » effectué sur B.C. ne permettent pas d’affirmer avec « certitude que le sujet est majeur », avait estimé le juge.

    Depuis son incarcération le 21 décembre 2023, le Sénégalais répétait inlassablement qu’il n’avait que 17 ans. Une photocopie de son acte de naissance transmis à l’administration n’avait pas suffi à mettre fin à son emprisonnement. Ni même un test médical qui avait conclu que « l’âge estimé du mineur présumé est compatible avec l’âge qu’il a mentionné ».

    L’ONU s’était emparé du sujet et avait exhorté le 11 mars les autorités espagnoles à libérer l’adolescent et à le traiter conformément à la Convention internationale des droits de l’enfant. L’organisation avait rappelé qu’en cas de doute sur l’âge d’une personne se déclarant mineure, elle doit être prise en charge en tant qu’enfant.

    Après la décision du tribunal de Las Palmas, B.C. a été transféré dans un centre fermé pour mineurs sur l’île de Ténérife en attendant son procès.
    Plusieurs jeunes enfermés en prison

    Comme ce garçon originaire du Sénégal, d’autres Subsahariens connaissent le même sort : arrivés aux Canaries à bord d’une pirogue surchargée, ils ont été accusés de piloter le canot, et n’ont pas été considérés comme des mineurs. Depuis, ils croupissent dans les prisons canariennes.

    C’est le cas d’Alioune (prénom d’emprunt), un Gambien de 16 ans enfermé depuis octobre 2023 à Ténérife, après avoir été désigné comme le « patron » de l’embarcation dans laquelle il se trouvait en arrivant dans l’archipel. À l’intérieur, le corps d’un enfant de 13 ans avait été retrouvé et 10 personnes avaient péri pendant la dangereuse traversée de l’Atlantique.

    Comme B.C., Alioune a fourni un acte de naissance prouvant son âge, et s’est soumis à des tests osseux, via une radiographie de la main. Les résultats signalaient alors que « la personne examinée a un âge osseux supérieur à 18 ans », tout en rappelant qu’il « n’est pas possible d’établir avec certitude l’âge réel ».

    On peut aussi citer l’histoire d’A.G., emprisonné avec B.C. alors qu’il n’avait que 15 ans. Ce Sénégalais a passé un mois et demi derrière les barreaux avant qu’un juge de surveillance pénitentiaire ordonne son transfert vers un centre fermé pour mineurs et que des tests prouvent sa minorité.

    Hausse du nombre d’#emprisonnement

    Alors, les jeunes étrangers seraient-ils de plus en plus nombreux à remplir les prisons espagnoles ? Difficile à affirmer en raison du manque de données sur le sujet, l’enfermement des mineurs étant interdit par la loi. Mais pour Daniel Arencibia, avocat en droit des étrangers, les affaires de ce type se multiplient.

    Il dit observer ces derniers mois une hausse des cas et regrette « beaucoup d’erreurs pour déterminer l’âge » d’un migrant. Cette recrudescence des emprisonnements s’explique, selon lui, par l’augmentation du nombre de mineurs débarqués en Espagne. « En 2020, il y avait moins de 400 mineurs aux Canaries. Aujourd’hui, ils sont plus de 5 000 », précise l’avocat.

    Un chiffre qui coïncide avec la hausse des débarquements en Espagne : on comptait en 2023, plus de 56 000 arrivées de migrants dans le pays, soit un bond de 82% par rapport à 2022. Parmi eux, près de 40 000 ont été enregistrés aux Canaries, une hausse de 154% par rapport à l’année précédente.
    Des peines différentes selon les provinces espagnoles

    Les jeunes ne sont pas les seuls à subir le même sort. Les migrants adultes aussi se voient désigner comme passeurs, pour avoir piloté leur embarcation. Et selon le lieu de leur arrestation, les peines diffèrent de plusieurs années, révèle une étude de Daniel Arencibia.

    Ce dernier a analysé plus de 200 condamnations portées contre des exilés dans les provinces espagnoles – sur les îles et sur la péninsule – les plus touchées par les arrivées irrégulières, du 1er janvier 2021 à aujourd’hui. Et le constat est sans appel : les migrants jugés aux Canaries écopent de peines plus lourdes pour les mêmes chefs d’accusation que dans les autres régions du pays.

    « Aux Baléares, ils sont condamnés à deux ans de prison, et aux Canaries à trois voire cinq ans », affirme l’avocat dans une interview accordée au média local Diario de Canarias.

    Pour avoir conduit une pirogue, et être poursuivi en tant que passeur, les exilés encourent jusqu’à huit ans de prison en Espagne. Une circulaire stipule cependant que dans le cas où la personne cherche également à obtenir une protection, une circonstance atténuante peut être appliquée et permet de réduire la peine.

    Daniel Arencibia a également découvert que le jugement pouvait être plus clément si le migrant renonce à son procès et se déclare donc coupable : dans ce cas, le Parquet réclame trois années de prison, en vertu de la circulaire évoquée précédemment. Dans le cas inverse, il demande sept ans d’emprisonnement. « Dans la province de Las Palmas [sur l’île de Grande Canarie, ndlr], 91% des accusés ont signé le document et accepte la peine de trois ans », renonçant à faire reconnaitre leur innocence.

    Rien d’étonnant pour l’avocat car, selon lui, les exilés n’ont d’autres choix : « Le migrant ne comprend pas la langue, a peur et on lui dit : ‘Si vous ne signez pas ce papier, vous ferez sept ans de prison au lieu de trois’ », résume-t-il.

    Comme en Grèce et au Royaume-Uni, deux États qui incarcèrent aussi des exilés vus à la barre d’un canot, les associations et les militants espagnols estiment que le gouvernement se trompe de cible. Les migrants emprisonnés « n’appartiennent pas à des mafias, ce sont de pauvres pêcheurs pour la plupart. Nous dépensons des millions pour mettre en prison des pêcheurs mais nous n’avons pas le budget nécessaire pour poursuivre ceux qui deviennent réellement millionnaires, au Maroc ou en Mauritanie », déplore l’avocat.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/55997/espagne--des-jeunes-migrants-se-declarant-mineurs-incarceres-pour-avoi
    #scafisti #criminalisation_de_la_migration #migrations #asile #réfugiés #Espagne #détention #mineurs #enfants #enfance #route_Atlantique #Canaries #îles_Canaries

  • How children visualise cities of today and tomorrow

    How do children see urban inequalities and the transformation of cities? What would they change in their neighbourhoods? What kind of cities do they wish for? periferiasdibujadas is an ongoing project that works collaboratively with other groups to createspaces for children in different places across Europe to research, narrate and intervenein their urban contexts. The children’s images explore issues affecting cities today,such as access to housing, racism, gentrification and the impact of tourism, and showtheir visions for more liveable and just cities.

    https://padlet.com/periferiasdibujadas/how-children-visualise-cities-of-today-and-tomorrow-vjw8kyzgxbka5io0
    #enfants #enfance #villes #cartographie #cartoexperiment #cartographie_sensible #cartographie_participative #quartiers #periferiasdibujadas #tourisme #racisme #gentrification #habitat #Albayzín #Grenade #Espagne

    ping @reka

  • Five Takeaways From The Times’s Investigation Into Child Influencers - The New York Times
    https://www.nytimes.com/2024/02/22/us/takeaways-instagram-child-influencers.html

    JBy Jennifer Valentino-DeVries and Michael H. Keller

    Feb. 22, 2024

    Instagram does not allow children under 13 to have accounts, but parents are allowed to run them — and many do so for daughters who aspire to be social media influencers.

    What often starts as a parent’s effort to jump-start a child’s modeling career, or win favors from clothing brands, can quickly descend into a dark underworld dominated by adult men, many of whom openly admit on other platforms to being sexually attracted to children, an investigation by The New York Times found.
    Read the investigation here.
    A Marketplace of Girl Influencers Managed by Moms and Stalked by Men
    Feb. 22, 2024

    Thousands of so-called mom-run accounts examined by The Times offer disturbing insights into how social media is reshaping childhood, especially for girls, with direct parental encouragement and involvement.

    Nearly one in three preteens list influencing as a career goal, and 11 percent of those born in Generation Z, between 1997 and 2012, describe themselves as influencers. But health and technology experts have recently cautioned that social media presents a “profound risk of harm” for girls. Constant comparisons to their peers and face-altering filters are driving negative feelings of self-worth and promoting objectification of their bodies, researchers found.

    The pursuit of online fame, particularly through Instagram, has supercharged the often toxic phenomenon, The Times found, encouraging parents to commodify their daughter’s images. These are some key findings.
    Parents are the driving force behind the accounts. Some offer the sale of photos, exclusive chat sessions and even the girls’ worn leotards to mostly unknown male followers.

    The child influencers can earn six-figure incomes from monthly subscriptions and other interactions with followers, according to interviews. Some can demand $3,000 from companies for a single post. Big followings look impressive to brands and bolster chances of getting discounts, products and other financial incentives, and the accounts themselves are rewarded by Instagram’s algorithm with greater visibility on the platform.
    As the accounts gain followers, they also draw a higher proportion of males. Interacting with the men opens the door to abuse.

    One calculation performed by an audience demographics firm found 32 million connections to male followers among the 5,000 accounts examined by The Times. In addition, an analysis using image classification software from Google and Microsoft indicates that suggestive posts are more likely to receive “likes” and comments.

    Some of the male followers flatter, bully and blackmail girls and their parents to get racier images, and some have been convicted of sex crimes. The Times monitored separate exchanges on Telegram, the messaging app, where men openly fantasize about sexually abusing the children they follow on Instagram and extol the platform for making the images so readily available.
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    “It’s like a candy store 😍😍😍,” one of them wrote. “God bless instamoms 🙌,” wrote another.
    Account owners who report explicit images or potential predators to Instagram are typically met with silence or indifference.

    Meta, Instagram’s parent company, found that 500,000 child Instagram accounts had “inappropriate” interactions every day, according to an internal study in 2020 quoted in legal proceedings. The platform’s policy prohibits convicted sex offenders, and the company said it removed two accounts after The Times pointed them out.

    In a statement, Andy Stone, a Meta spokesman, said that parents were responsible for the accounts and their content and could delete them anytime. “Anyone on Instagram can control who is able to tag, mention or message them, as well as who can comment on their account,” he added, noting a feature that allows parents to ban comments that contain certain words.
    Some parents refuse to give in to creepy “bullies,” but others regret ever opening an account.

    A mother in Australia, whose daughter is now 17, said she worried that a childhood spent sporting bikinis online for adult men had scarred her. She warned mothers to avoid her mistakes. “I’ve been stupidly, naïvely, feeding a pack of monsters, and the regret is huge,” she said. But a mother in Alabama said parents couldn’t ignore the reality of this new economy. “Social media is the way of our future, and I feel like they’ll be behind if they don’t know what’s going on,” she said.
    Though rare, there have been criminal prosecutions against parents accused in child sexual abuse cases.

    Even the most unsettling images of sexualized child influencers tend to fall into a legal gray area. To meet the federal definition of so-called child pornography, the law generally requires a “lascivious exhibition” of the anal or genital area, though courts have found the requirement can be met without nudity or sheer clothing.

    #Média_sociaux #Instagram #Enfants #Pedopornographie #Exploitation_sexuelle

  • Les #Enfants traumatisés par les conflits de guerre
    https://www.obsarm.info/spip.php?article640

    À l’heure où de nombreux enfants, et leurs parents bien entendu, sont sous les bombes à Gaza, en Ukraine, et dans d’autres contrées, ce livre court mérite le détour. Zygmunt L. Ostrowski est pédiatre, ex-conseiller de l’Organisation mondiale de la Santé, et président de l’ADE (en anglais, Association for Studies on Nutrition and Child Developpement), une ONG humanitaire. Cette ONG humanitaire a travaillé sur de nombreux conflits, sur de nombreux enfants traumatisés. Elle s’appuie sur « (...) #Fiches_de_lecture

    / #Guerres, Enfants, #Actions_contre_la_guerre, #La_trois

  • Immigration en Europe : la France à la manœuvre pour autoriser la rétention des enfants dès le plus jeune âge
    https://disclose.ngo/fr/article/immigration-en-europe-la-france-a-la-manoeuvre-pour-autoriser-la-retention

    La France a œuvré dans le plus grand secret, pour obtenir l’autorisation d’enfermer des mineurs, sans limite d’âge, dans des centres construits aux frontières de l’Europe. Cette disposition inscrite dans le Pacte sur la migration et l’asile, qui sera voté au printemps par le Parlement européen, pourrait violer la Convention internationale des droits de l’enfant. Lire l’article

  • Stage « Tournez dans un film de cinéma muet » 2024

    Pour les enfants, adolescents et adultes confondus, « Le Bateau Ivre » (organisme de formation depuis 1998) propose deux sessions du Stage de Mime « Tournez dans un film de cinéma muet » à Paris (75009) pendant 4 jours de 14 à 17h en avril 2024. https://www.silencecommunity.com/events/event/view/48629/stage-%C2%AB%C2%A0tournez-dans-un-film-de-cinema-muet%C2%A0%C2%BB-

    #Paris #ÎleDeFrance #stage #formation #tournage #enfants #adolescents #adultes #cinéma #mime #pantomime #mimique #ArtisteMime #muet #CinémaMuet #film #CourtMétrage #laussat #pillavoine #avril #lbi2324

  • Et les critères diagnostiques du DSM-5 :

    A. Un mode persistant d’inattention et/ou d’hyperactivité-impulsivité qui interfère avec le fonctionnement ou le développement, caractérisé par (1) et/ou (2) :
    1. Inattention : Six (ou plus) des symptômes suivants persistent depuis au moins 6 mois, à un degré qui ne correspond pas au niveau de développement et qui a un
    retentissement négatif direct sur les activités sociales et scolaires/professionnelles :
    N.B. : Les symptômes ne sont pas seulement la manifestation d’un comportement opposant, provocateur ou hostile, ou de l’incapacité de comprendre les tâches ou
    les instructions. Chez les grands adolescents et les adultes (17 ans ou plus), au moins cinq symptômes sont requis.
    a. Souvent, ne parvient pas à prêter attention aux détails, ou fait des fautes d’étourderie dans les devoirs scolaires, le travail ou d’autres activités (p. ex. néglige ou ne remarque pas des détails, le travail est imprécis).
    b. A souvent du mal à soutenir son attention au travail ou dans les jeux (p. ex. a du mal à rester concentré pendant les cours magistraux, des conversations ou la lecture de longs textes).
    c. Semble souvent ne pas écouter quand on lui parle personnellement (p. ex. semble avoir l’esprit ailleurs, même en l’absence d’une source de distraction évidente).
    d. Souvent, ne se conforme pas aux consignes et ne parvient pas à mener à terme ses devoirs scolaires, ses tâches domestiques ou ses obligations professionnelles (p. ex. commence des tâches mais se déconcentre vite et se laisse facilement distraire).
    e. A souvent du mal à organiser ses travaux ou ses activités (p. ex. dificulté à gérer des tâches comportant plusieurs étapes, dificulté à garder ses affaires et ses documents en ordre, travail brouillon ou désordonné, mauvaise gestion du temps, échoue à respecter les délais).
    f. Souvent, évite, a en aversion, ou fait à contrecœur les tâches qui nécessitent un effort mental soutenu (p. ex. le travail scolaire ou les devoirs à la maison ; chez les grands adolescents et les adultes, préparer un rapport, remplir des formulaires, analyser de longs articles).
    g. Perd souvent les objets nécessaires à son travail ou à ses activités (p. ex. matériel scolaire, crayons, livres, outils, portefeuilles, clés, documents, lunettes, téléphones mobiles).
    h. Se laisse souvent facilement distraire par des stimuli externes (chez les grands adolescents et les adultes, il peut s’agir de pensées sans rapport).
    i. A des oublis fréquents dans la vie quotidienne (p. ex. effectuer les tâches ménagères et faire les courses ; chez les grands adolescents et les adultes, rappeler des personnes au téléphone, payer des factures, honorer des rendez-vous).
    2. Hyperactivité et impulsivité : Six (ou plus) des symptômes suivants persistent depuis au moins 6 mois, à un degré qui ne correspond pas au niveau de développement et qui a un retentissement négatif direct sur les activités sociales et scolaires/professionnelles :
    N.B. : Les symptômes ne sont pas seulement la manifestation d’un comportement opposant, provocateur ou hostile, ou de l’incapacité de comprendre les tâches ou les instructions. Chez les grands adolescents et les adultes (17 ans ou plus), au moins cinq symptômes sont requis.
    a. Remue souvent les mains ou les pieds, ou se tortille sur son siège.
    b. Se lève souvent en classe ou dans d’autres situations où il est supposé rester assis (p. ex. quitte sa place en classe, au bureau ou dans un autre lieu de travail, ou dans d’autres situations où il est censé rester en place).
    c. Souvent, court ou grimpe partout, dans des situations où cela est inapproprié
    (N.B. : Chez les adolescents ou les adultes cela peut se limiter à un sentiment d’impatience motrice.)
    d. Est souvent incapable de se tenir tranquille dans les jeux ou les activités de loisir.
    e. Est souvent « sur la brèche » ou agit souvent comme s’il était « monté sur ressorts » (p. ex. n’aime pas rester tranquille pendant un temps prolongé ou est alors mal à l’aise, comme au restaurant ou dans une réunion, peut être perçu par les autres comme impatient ou dificile à suivre).
    f. Parle souvent trop.
    g. Laisse souvent échapper la réponse à une question qui n’est pas encore entièrement posée (p. ex. termine les phrases des autres, ne peut pas attendre son tour dans une conversation).
    h. A souvent du mal à attendre son tour (p. ex. dans une ile d’attente).
    i. Interrompt souvent les autres ou impose sa présence (p. ex. fait irruption dans les conversations, les jeux ou les activités, peut se mettre à utiliser les affaires des autres sans le demander ou en recevoir la permission ; chez les adolescents ou les adultes, peut être intrusif et envahissant dans les activités des autres).
    B. Plusieurs symptômes d’inattention ou d’hyperactivité-impulsivité étaient présents avant l’âge de 12 ans.
    C. Plusieurs symptômes d’inattention ou d’hyperactivité-impulsivité sont présents dans au moins deux contextes différents (p. ex. à la maison, à l’école, ou au travail ; avec des amis ou de la famille, dans d’autres activités).
    D. On doit mettre clairement en évidence que les symptômes interfèrent avec ou réduisent la qualité du fonctionnement social, scolaire ou professionnel.
    E. Les symptômes ne surviennent pas exclusivement au cours d’une schizophrénie ou d’un autre trouble psychotique, et ils ne sont pas mieux expliqués par un autre trouble mental (p.ex., trouble de l’humeur, trouble anxieux, trouble dissociatif, trouble de la personnalité, intoxication par, ou sevrage d’une substance).

    Des marqueurs biologiques ? Non :

    Il n’existe pas de marqueurs biologiques permettant le diagnostic du TDAH. Pris dans leur ensemble, en comparaison avec leurs pairs, les enfants ayant un TDAH présentent une augmentation des ondes lentes à l’électroencéphalogramme (Barry et al. 2003), un volume total du cerveau réduit à l’imagerie par résonance magnétique (Castellanos et al. 2002) et possiblement un retard de maturation corticale dans le sens postérieur-antérieur (Shaw et al. 2007), mais ces constatations ne participent pas au diagnostic. Dans les cas rares où il existe une cause génétique connue (p. ex.
    syndrome de l’X fragile, syndrome de délétion 22q11), la présence d’un tableau clinique de TDAH devra aussi faire poser le diagnostic de ce trouble.

    Facteurs de risque génétiques ? Malgré les pirouettes sophistiques, non plus :

    Bien que plusieurs gènes spécifiques aient été corrélés avec le TDAH (Gizer et al. 2009), ce ne sont des facteurs causaux ni nécessaires ni sufisants.

    https://psyclinicfes.files.wordpress.com/2020/03/dsm-5-manuel-diagnostique-et-statistique-des-troubles-
    #psychanalyse #enfants_terribles

  • La fausse épidémie de TDAH de Patrick Landman, in Etudes 2018/11 (Novembre)

    Au fur et à mesure des éditions du DSM, le TDAH s’est vu diminuer les seuils d’inclusion : avant sept ans, puis avant douze ans. On a également allégé les restrictions au diagnostic : le dernier allègement est la comorbidité possible avec les troubles autistiques. Et le TDAH a été adapté aux effets escomptés du médicament, avec une focalisation sur l’attention cible du méthylphénidate, au détriment de l’hyperactivité sur laquelle le médicament agit beaucoup moins. Toutes ces modifications ont permis un élargissement considérable du marché. La théorie non prouvée du dommage cérébral minimum s’est transformée en une autre théorie non prouvée : « Le TDAH n’est plus dans le DSM-5 un trouble du comportement, mais un trouble neuro-développemental. »
    (...)
    Dans les versions qui précédaient le DSM-5 actuel, le TDAH était considéré comme un trouble du comportement. Depuis cette cinquième version du DSM, le TDAH est intégré dans le vaste ensemble des troubles neuro-développementaux. Qui dit neuro-développemental dit participation cérébrale. Or qui sont les enfants étiquetés TDAH ? La plupart d’entre eux appartiennent à la catégorie très floue des enfants « ingérables », ingérables par les parents qui sont en souffrance, ingérables par l’école soumise à des conditions de travail très compliquées, ingérables par la société en général. Naturaliser sans preuve scientifique une catégorie pathologique sans spécificité, sans distinction claire avec la norme et surtout pourvue de corrélations fortes avec la condition sociale, peut présenter des risques potentiels éthiques et même politiques.

    https://www.cairn.info/article.php?ID_ARTICLE=ETU_4254_0053
    #psychanalyse #enfants_terribles